Il modo migliore per provare a guarire gli altri è quello di mettersi in contatto con la propria fragilità, di ricordarla, di abbracciarla, di averla lì presente quando ti avvicini a qualcuno.
Forse solo custodendo le proprie ferite è possibile almeno tentare di avvicinare le ferite altrui.
Le nostre e le altrui ferite potranno anche essere diverse, frutto di differenti storie e personali cadute: ma sarà il comune dolore nella carne ad avvicinarci, a farci sentire fratelli, simili, uomini che patiscono il comune patire della Vita. Potranno nascere così parole, sguardi e tocchi densi di senso e di sensi.
Amo molto queste parole di Elisabeth Kubler-Ross:
“Le persone più belle che abbiamo conosciuto sono quelle che hanno conosciuto la sconfitta, la sofferenza, lo sforzo, la perdita e hanno trovato la loro via per uscire dal buio. Queste persone hanno una stima, una sensibilità e una comprensione della vita che li riempie di gentilezza ed un interesse di profondo amore. Le persone belle non capitano semplicemente; si sono formate”.