In questi giorni di freddo autunnale, la natura ci offre un bell’insegnamento che dà da pensare: al termine del periodo estivo le piante sanno abbandonare le foglie morte, che, rinsecchite, restano ancora aggrappate ai rami, come lontani ricordi di giornate calde ormai passate. Ciò che è morto, passato, rinsecchito merita di essere lasciato, senza rimpianti, senza tentennamenti, senza riserve. Solo perdendo ciò che è morto, la pianta spera di ricevere nuova vita nella successiva primavera. La pianta si mostra così docile ed obbediente a chiudere il cerchio dell’esistenza, in cui morte e vita si alternano nella danza della Vita. Morte e Vita, nascita e lutto, crescita e perdita, si offrono come manifestazioni dello stesso Mistero, come attori dello stesso dramma, come variazioni dello stesso tema.
Quante “foglie secche” tratteniamo incollate ossessivamente alle nostre vite? A quante esperienze, a quanti ricordi, a quanti pezzi di noi stessi sarebbe bello poter dire addio? Da quante cose sarebbe bello potersi congedare senza rimpianti? Quante soffitte stracariche di bauli vecchi e ormai impolverati, da cui non riusciamo a separarci ? Tratteniamo tutto come per un senso di custodia personale..custodiamo tutto senza accorgersi che spesso di queste cose siamo inconsapevoli ostaggi… Siamo strenuamente attaccati a cose da cui forse sarebbe meglio accomiatarsi.









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