Riprendo il filo del discorso, per l’editoriale di Luglio di LodivecchioMese
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Ho letto da qualche parte, non ricordo esattamente dove, che nella cultura capitalista il valore di ogni uomo è misurato dalla sua capacità di spesa: chi può spendere molto vale molto, chi può spendere poco possiede un valore minore. In fondo, perché la vita di un cittadino americano vale più di un cittadino senegalese? Proprio a motivo della differente capacità di vendere e comperare che essi possiedono: è il ruolo e peso economico a determinare il loro implicito valore. Confesso che trovo questa legge disumana e contraria a millenni di cultura classica, cristiana ed umanistica, eppure accadono fatti che mi fanno seriamente dubitare che in realtà le cose seguano davvero questa triste logica.
Penso, per stare sulla cronaca recente, alle ricerche del Titan, il sommergibile turistico disperso mentre stava esplorando i resti del Titanic depositati in fondo all’oceano. Penso alla eco mediatica che la notizia ha avuto, al moto collettivo di partecipazione e commozione che il fatto ha provocato e penso all’ingente macchina del soccorso che si è mossa per cercare i dispersi. Nessuno ha, giustamente, alzato un dito per criticare la notevole somma di denaro che questa operazione di salvataggio ha richiesto, né alcuno ha, altrettanto giustamente, discusso dell’opportunità che 5 persone si lancino nell’oceano profondo per puro diletto. Il valore della vita di quei cinque uomini ha meritato ogni investimento e pietà umana giacché, come ci hanno insegnato secoli di storia, la vita di ogni singolo uomo è inestimabile.
Penso poi al caso, sempre recente, di quel centinaio di disperati che hanno trovato la morte di fronte alla coste greche: si trattava di gente, tra cui molte donne e bambini, in fuga dalla disperazione, dalle guerre e dalla fame e che stavano cercando un po’ di salvezza dall’altra parte del mediterraneo. Per loro i soccorsi non sono stati così repentini e numerosi ma un ingolfo burocratico ed organizzativo (così pare) ha impedito di salvare le loro vite. Penso anche ai commenti sui media, a volta espressi chiaramente, altre volte solo intuiti, che lasciano intendere che questa gente un po’ se l’è andata a cercare, che certe cose non si fanno, e che non si mette a rischio la vita dei figli per certi viaggi…
Non credo occorra sottolineare la radicale differenza di trattamento che le due vicende hanno trovato! La cosa davvero impressionante (e da parte mia preoccupante) è che nessuno di noi sente fino in fondo lo scandalo di questi sentimenti così diversi, di questo abisso di pietà che intercorre tra la partecipazione commossa e la cinica indifferenza. Non solo la testa valuta con un metro differente ma anche il nostro cuore prova sentimenti diseguali per quanto accaduto
Che sia chiaro: non punto il dito contro nessuno perché temo che non sia (solo) un problema di correttezza morale ma di prospettiva di giudizio: è il punto di vista da cui osserviamo il mondo che crea questa “distorsione ottica”, grazie alla quale 5 persone superricche disperse in fondo all’oceano sono (giustamente) una tragedia, mentre 500 poveracci che affondano nel mediterraneo una pura fatalità. Tutto dipende da che parte guardi il mondo e quali occhiali indossi per osservare le cose.
È anzitutto un fatto culturale, non emotivo, finanziario o economico. È la nostra cultura che ci porta a dare peso diverso a cose simili, tradendo ogni approccio non solo razionale ma semplicemente ragionevole. Sono i valori che assumiamo acriticamente (e questo sì, colpevolmente) dal nostro contesto sociale che generano una deformazione della realtà che è la radice remota di tutto questo. C’è una lotta di guarigione che occorre combattere ma questa non va condotta solo sui social, nell’informazione o sui mercati economici. Essa è anzitutto una battaglia del cuore per educare i nostri sentimenti ed una battaglia della coscienza perché non smarrisca il senso del bene integrale, del giudizio critico e della compassione umana.









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