Alla fine le cose sono andate come dovevano andare: difficilmente sorella morte applica sconti o si presenta in ritardo agli appuntamenti. È ancora fresca la notizia della scomparsa di Michela Murgia, nota scrittrice ed intellettuale che di recente aveva condiviso con il suo pubblico la notizia del tumore che le aveva invaso il corpo e che stava, con inesorabile passo, togliendo tempo alla sua vita. L’evento non ha preso nessuno realmente di sorpresa, giacché la scrittrice aveva reso questo suo calvario un’esperienza, per quanto possibile, condivisa, pubblicando foto e racconti della sua condizione di salute fino all’aggravamento finale.
È questo forse il tratto che ha maggiormente suscitato emozione a partecipazione (insieme a molte critiche e polemiche) alla sua vicenda: il fatto di aver reso la malattia un avvenimento pubblico, anzi, di più, un fatto politico, filosofico, etico e, in fondo, spirituale. Molte persone vivono questo ultimo tratto della loro esistenza con riserbo, insieme ai familiari più stretti, quasi ritirandosi dal mondo in una solitudine ed un esilio che permette loro di elaborare e attraversare con maggior serenità questo tornante drammatico della vita. Michela, al contrario, con spirito militante e combattivo, ha reso la malattia un fatto politico, pubblico, sociale, facendo in modo che il suo tumore diventasse, per un verso o per l’altro, pungolo per chiunque leggesse i suoi scritti o ascoltasse le sue interviste.
Al di là di quanto si possa pensare delle sue opinioni etiche, politiche o religiose, ho trovato la scelta di Michela qualcosa di straordinariamente audace, qualcosa di fronte al quale togliersi il cappello per riconoscere il coraggio e la coerenza di questa forte donna sarda. La Murgia ha saputo, a modo suo e con uno stile assolutamente personale, parlare della morte e non come dato teorico o filosofico, ma riferendosi alla “propria” morte, a quell’evento che avrebbe a brevissimo segnato la fine della sua esistenza, quell’ospite indesiderato che da lì a poco avrebbe messo un termine alla sua esistenza terrena. E per fare questo serve coraggio, determinazione, una chiara consapevolezza di chi si è e del senso che si intende dare al proprio vivere.
In una società che rinnega la morte, che la silenzia, la nasconde, la rimuove dal dibattito pubblico e dalle riflessioni personali, in una cultura che censura l’esperienza del morire, che allontana sorella morte come una realtà insensata e crudele, Michela ha avuto l’ardire di raccontare il suo viaggio verso la fine e di dare parola ai giorni che le restavano da vivere. Nella testimonianza dura e difficilmente digeribile di Michela, la morte è diventata un fatto umano, il segno di una umanità consapevole del proprio limite e della propria fragilità. La morte non cessa di far paura, non smette di inquietare e di togliere il sonno, ma non è più un fatto incomprensibile, disumano, indescrivibile, qualcosa che sta “oltre” la vita e la sua pienezza. La meta fa parte del viaggio, la fine della vita appartiene alla sua intrinseca e profonda dinamica, come un esito inesorabile che interpella, provoca, genera dubbi e paure.
Direbbe Heidegger che l’uomo è un essere-per-la-morte, non in senso nichilista o pessimista, ma perché la morte attiene all’esperienza del vivere come un movimento interno, come suo esito naturale ma non banale, come traccia e rimando del mistero profondo ed inaccessibile della vita. In altre parole la morte, checché se ne pensi, è una esperienza pienamente umana e solo umana: l’uomo è l’unico vivente che può fare esperienza del morire prima ancora della propria morte. Anche l’animale muore ma solo l’uomo è interpellato dall’esperienza del morire prima ancora che questa accada. Se la morte è di ogni vivente, l’esperienza del morire è un tratto esclusivamente e squisitamente umano. Michela, nel tratto finale della sua esistenza, forse ci ha aiutati a riconoscere ed onorare questa dimensione liminare dell’esistenza, che troppo spesso rimuoviamo e colpevolmente dimentichiamo. È stata una lezione dura, prima di tutto per lei stessa e per i suoi cari, una lezione di vita che solo una grande anima è in grado di impartire.
Pubblicato su Il Cittadino del 14 agosto 2023









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