siamo uomini…

Chi segue un po’ questo blog sa bene che non nutro una particolare simpatia per Fedez: il suo continuo protagonismo mediatico, la sua voglia un po’ compulsiva di apparire, di recitare, di essere sempre al centro dell’attenzione talvolta mi paiono sintoni di un ripiegamento un po’ narcisistico e infantile. Capisco bene che la fama e la ricchezza possano dare alla testa ma questo non sempre giustifica prese di posizioni o comportamenti un po’ sopra le righe.

Nonostante non sia un suo fan, ho trovato difficile non simpatizzare con quanto da lui dichiarato nell’intervista rilasciata oggi al Corriere delle Sera. Dopo l’ennesimo ricovero in ospedale, lo showman ha voluto condividere con il suo pubblico l’incidente degli ultimi giorni e la fatica che si è trovato ad affrontare in questa nuova situazione di malattia.

La confessione diventa per Fedez l’occasione per raccontare non solo l’ultimo ricovero ospedaliero ma pure tutta la battaglia che ha dovuto affrontare dopo la scoperta del tumore al Pancreas: la temporanea (come lo sono tutte) guarigione dalla fase acuta, non lo ha esonerato dalla fatica di fare i conti con l’esperienza del proprio limite e della propria fine. Se ci pensate bene, in fondo, solo l’uomo ha questa drammatica possibilità: quella di misurarsi con la propria morte prima ancora che questa accada. L’uomo è l’unico vivente che è chiamato a fare i conti con il morire prima ancora di aver sperimentato questo evento. È così per ogni uomo, è così anche per il noto cantante, nonostante la sua fama, il suo successo ed il suo denaro.

È proprio in questo racconto che emergono tutte le fragilità di Federico, le sue cadute, le sue debolezze psicologiche, la depressione, la cura, la paranoia, i farmaci, le malattie e le ansie. È proprio rispetto a questo vissuto che, al di là del personaggio, non riesco a non simpatizzare con la persona. Chi ha avuto modo, in modo diretto o indiretto, di misurarsi con il calvario della sofferenza psicologica difficilmente può restare indifferente alle parole di Federico. Si riconosce infatti nella sua narrazione, la pena che attraversano tutti coloro che vivono fragilità psicologiche: l’esperienza dolorosa della solitudine, il senso drammatico di impotenza, la sensazione di non essere compresi, la percezione di essere caduti in un pozzo senza fondo, l’orizzonte esistenziale che si restringe togliendo fiato e voce, gli occhi impotenti e preoccupati di chi ti sta attorno e non sa più che pesci pigliare, la nausea per il disagio che non passa, la delusione per i passi indietro, la repulsione per come ci si è ridotti, la determinazione ad aggrapparsi a qualcosa nonostante tutto e tutti. Federico, con grande sincerità e generosità, non lesina in particolari, non addolcisce la pillola, non alleggerisce il peso, ma restituisce la sua fatica di vivere proprio nella misura in cui la patisce ogni suo compagno di sventura.

Leggi quelle parole e comprendi che, al di là di tutto, al di là dei soldi, della fama, del successo, dell’agiatezza, restiamo tutti uomini e donne fatti di carne e di sangue. Siamo gente povera, esposta alle intemperie della vita, gente fragile che vive nella provvisorietà la propria esistenza. Restiamo tutti uomini e donne che di fronte alla soglia del proprio limite devono, in qualche modo, fare i conti con la propria finitudine. Ciascuno a modo suo.

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