come si spegne WhatsApp?

Ricordo che, molti anni fa, quando installai per la prima volta sul mio cellulare l’applicazione di WhatsApp, mi venne una domanda: ma come si spegne WhatsApp? Sì, perché mi suonava strano che un’applicazione non avesse un tasto per l’accensione e lo spegnimento. Era quasi inconcepibile – ero davvero alle prime armi con le nuove tecnologie – che esistesse un dispositivo sempre acceso, sempre online, che non potesse essere ammutito o disconnesso.

Comprendo bene ora come il dubbio di tanti anni fa possa apparire assai bizzarro, giacché siamo talmente assuefatti a questa ininterrotta connessione che la cosa non ci crea alcun problema. Tuttavia, se provassimo a guardare al fatto con un minimo di distacco critico e razionalità, la domanda potrebbe suonare assai meno strana di quello che appare.

Viviamo ormai in una così stretta simbiosi con il nostro smartphone che ci risulta paradossale immaginare una modalità diversa di utilizzo: il telefono è sempre con noi, quando ci svegliamo, quando facciamo colazione, quando lavoriamo e quando facciamo jogging, quando vediamo un film o ceniamo, quando andiamo a letto e ci addormentiamo. Esso è diventato il più fedele amico dell’uomo in quanto ci dimostra una versatilità davvero incredibile: è telefono, orologio, sveglia, radio, televisione, giornale, sistema di messaggistica, sportello bancario, carta di credito, posta elettronica, libro, social media, abbonamento per i mezzi pubblici, agenda, calendario, dizionario, macchina fotografica, carta di imbarco, previsioni del tempo, contapassi, conta battiti, servizio taxi e questo solo citando le principali applicazioni disponibili.

Siamo talmente “affezionati” a lui che abbiamo addirittura sviluppato una nuova forma di nevrosi: si chiama nomofobia. Essa, denominata anche “NO Mobile Phone PhoBI”, descrive una condizione psicologica che può svilupparsi in tutti soggetti che manifestano l’irrazionale timore o paura di rimanere sconnessi o allontanati dalla possibilità di rimanere collegati mediante il proprio smartphone.

C’è gente che accende ossessivamente il cellulare non appena scende dall’aereo, in preda ad una crisi di astinenza da connessione o dà una sbirciatina allo schermo del proprio smartphone anche durante la messa… si sa mai che qualcuno abbia scritto nel frattempo…

Tutto questo ci porta a vivere in una iperstimolazione continua, un susseguirsi ininterrotto di messaggi, suoni, allarmi, bip, telefonate o mail. C’è una fibrillazione comunicativa in cui siamo immersi e della quale non ci rendiamo più nemmeno conto, alla stessa stregua in cui, forse, un pesce, non è consapevole dell’acqua in cui nuota. C’è, dietro tutto questo, una implicita richiesta di essere sempre presenti, sempre disponibili, sempre all’erta, sempre con le antenne tese e l’adrenalina in corpo, pronti ad affrontare chissà quali nemici. Siamo la generazione dell’iper-connessione che significa, per certi versi, iper-performatività: non c’è mai stacco, mai sosta, mai pausa, mai risposo, mai rifugio. È un susseguirsi incalzante di richieste, prestazioni, performance, prove, stimoli, a tal punto che non troviamo più il tempo e la pace per guardarci dentro e curarci della nostra interiorità.

Sapete una cosa? Quando finirò di scrivere questo pezzo farò una cosa molto semplice: disattiverò la doppia spunta blu da Whatsapp. Lo dico anche ai miei amici affinché non si preoccupino…Non lo farò per un senso di privacy, di riservatezza o per nascondere qualcosa . Lo farò solo per me stesso, perché possa imparare, un poco alla volta, ad essere meno schiavo di questo potentissimo mezzo, che mi offre infinite possibilità ma che rischia, talvolta, di rubare la mia pace ed il mio tempo.   

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