Non sono propenso a credere a teorie complottistiche o a pensieri cospiratori: li trovo sempre assai “fantasiosi” e spesso al limite della paranoia. Sentirsi vittime di arcane orchestrazioni o di piani occulti non mi pare un modo sano di abitare questo pianeta. Mi sembra più una scorciatoia per scaricare le proprie responsabilità su altri e ridurre il proprio spazio di intervento e di libertà: se il mondo è contro di te, la strategia del martire è il modo giusto per restare in casa ed interessarsi dei propri affari.
È vero però che in Italia ultimamente stanno accadendo cose che lasciano decisamente perplessi o, forse meglio dire, preoccupati. Sono fatti di per se stessi magari non così gravi (o almeno non tutti) ma che se osservati nel loro insieme lasciano un sentimento di inquietudine. Penso al tizio identificato alla Scala di Milano solo perché ha gridato uno slogan antifascista, o alle persone, ugualmente identificate, perché hanno lasciato dei fiori in ricordo di Navalny. O, decisamente più grave, l’aggressione delle forze dell’ordine a degli studenti minorenni che a Pisa stavano manifestando pacificamente a favore del popolo Palestinese: stupisce questa ferocia quando, poche settimane prima, non si era visto un solo rappresentante delle forze dell’ordine a sorvegliare un gruppo di neo-fascisti che, allineati in maniera militare, alzavano il braccio destro urlando inni del Ventennio.
Non voglio credere che ci sia un disegno preordinato, né una strategia complessiva dietro: forse sarebbe troppo. Tuttavia penso che le libertà personali e sociali sono oggetti fragili, indifesi e vulnerabili, che vanno tutelati con grande cura e scrupolo. Esse non muoiono da un giorno all’altro, non scompaiono improvvisamente, ma si spengono lentamente come fa la fiamma di una candela che si indebolisce in assenza di ossigeno. La libertà, ogni singola libertà, personale, sociale, familiare, sia essa di parola, di azione, di pensiero, di credo e di opinione, di voto o altro, è come una pianta posta nel terreno della comunità e che chiede cura, attenzione, riguardo ed alimentazione, salvaguardia e protezione giacché ogni gelata, ogni forte vento o temporale, ogni grandinata o epidemia, rischiano di ferirla mortalmente.
La libertà non è un monumento di pietra posto nel cuore delle nostre città a celebrare passati valori: essa è un “oggetto” vivo, che cresce o appassisce in base all’humus che ha attorno, in base al clima che patisce e all’impegno che l’agricoltore mostra per il suo sviluppo.
Forse, dopo tutto quanto è accaduto, è venuto il momento di rimettere mano al badile e zappare attorno a quelle pianticella, metterci del concime, strappare le erbe infestanti, annaffiare in abbondanza e sperare in un tempo propizio. È tempo di una nuova sollecitudine verso le nostre libertà, verso ogni forma di dissenso e di espressione, verso ogni manifestazione del pensiero, verso ogni gesto ed ogni sguardo, perché esse non sono, prima di tutto, il dono che ci hanno fatto i nostri padri, ma il debito che abbiamo verso i nostri figli.









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