ancora 8 marzo…

Mi piacerebbe vivere questo 8 marzo pensando alle donne palestinesi e a quelle israeliane, entrambe vittime di una violenza assurda ed incomprensibile. Vorrei pensare a loro, che vivono sotto il rumore delle bombe che cadono sulla testa dei loro figli che non riescono a proteggere, come ogni mamma vorrebbe fare; pensare a quelle donne che hanno figli, mariti, fratelli o padri rapiti e rinchiusi in tunnel sotterranei a Gaza, senza avere alcuna certezza sul loro stato di salute né se siano ancora in vita.

Mi piacerebbe vivere questo 8 marzo pensando alle donne ucraine e a quelle russe, a quelle che hanno figli al fronte a combattere per la sopravvivenza del proprio popolo o per soddisfare la fame bellica di un dittatore. Quelle donne che comunque sono state sfollate, private della loro casa e dei loro affetti, violentate nel corpo e nello spirito, costrette ad una vita assurda lontano da tutti. Quelle donne che hanno i loro figli in lontane prigioni della Siberia, solo perché hanno avuto l’ardire di dire parole contro la guerra, di pensare liberamente, di esprimersi senza asservimento ad un potere sempre più bruitale.

Mi piacerebbe vivere questo 8 marzo pensando alle donne iraniane, ancora costrette a vivere i tempi bui della storia, quelli in cui alla donna non è nemmeno concesso come vestire, come muoversi, come parlare o comportarsi. Quelle donne che sono considerate da una cultura maschilista esseri di serie B, proprietà dei loro mariti, buone per far figli e curare la casa, utili per la perpetuazione della specie. Quelle donne che hanno avuto il coraggio di danzare, di levare il velo, di mostrare i loro capelli, di apparire in pubblico senza vergogna o senza il controllo di coloro che pretendono di decidere cosa sia etico e cosa no.

Mi piacerebbe vivere questo 8 marzo pensando alle donne che in tutto il mondo sono state vittime di abusi da parte di una visione folle e demonica della fede, di quella cultura che, in nome del peccato di Eva, fa della donna una serva senza parola, buona solo i lavori più umili, incapace di abitare lo spazio ecclesiale con responsabilità e competenza. Quelle donne che devono continuamente giustificare la loro dignità di fronte al potere religioso, che devono ancora chiedere permesso per esistere, a cui è concessa la parola in modo ipocrita e senza convinzione.

Mi piacerebbe vivere questo 8 marzo pensando alle donne che anche oggi, nei modi più subdoli e raffinati, sono emarginate, escluse dai posti che contano, cittadine di seconda mano in questo Paese ancora così orgogliosamente maschilista. Quelle donne che tra gli sguardi ironici e sprezzanti lottano per vedere riconosciuto il proprio valore, valorizzate le proprie capacità, onorate le proprie aspirazioni.

Mi piacerebbe vivere questo 8 marzo pensando anche a noi maschi del terzo millennio, dall’identità così fragile da diventare prepotente, così insicura da tradursi in aggressività, così muta da trasformarsi in parola violenta.

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