Pioltello ed il Ramadan

Non c’è dubbio che l’attuale pluralismo culturale e religioso crei molto disorientamento: eravamo abituati a vivere nella cattolicissima Italia in cui la religiosità permeava ogni singolo aspetto del vivere civile, anche a prescindere dal credo personale, ed ora restiamo spaesati di fronte alle novità che irrompono nella nostra vita. A testimonianza di questo fatto è sufficiente osservare il clamore suscitato dalla decisione dell’Istituto Comprensivo di Pioltello di dichiarare un giorno di festa per il 10 aprile, in occasione della fine del Ramadan. Le reazioni, come spesso accade in questi casi, sono state le più varie: si è andati da atteggiamenti dubbiosi e critici fino a comportamenti e dichiarazioni decisamente scomposti e sopra le righe.

È evidente la difficoltà di affrontare situazioni di questo tipo, in cui la giusta custodia delle nostre tradizioni e radici religiose si confronta (e talvolta si scontra) con l’altrettanto giusto rispetto della cultura dell’altro. Nessuna scelta è indolore in questi casi: cambiare quanto si è sempre fatto può dare la percezione di cedere ad una rinuncia della propria identità e a un indebolimento della propria cultura e tradizione. D’altra parte, mostrarsi insensibili ai cambiamenti che, volenti o nolenti, sono avvenuti nel nostro tessuto sociale, corre il rischio di scivolare in una forma di mancata integrazione, di esclusione o addirittura di violenza.

Mi pare chiaro che, in queste situazioni, ciò che agita le menti ed i cuori sia un inconscio sentimento di paura dell’altro, soprattutto se esso è portatore di una cultura che fatichiamo a comprendere e riconoscere. In un mondo così plurale e diversificato, in cui i valori, le tradizioni e le usanze risultano così dissimili e spesso distanti, nasce spontaneo, come un movimento irriflesso, l’istinto alla difesa, alla chiusura, al ritrarsi dentro un cortile che, sebbene ormai inattuale, ci garantisce un senso di protezione.

L’Italia deve attraversare oggi fenomeni e sfide che altri paesi europei hanno affrontato decenni fa: è sufficiente confrontarsi con quanto accade in Inghilterra o in Germania (dove la presenza di culture differenti è assai più diffusa) per rendersi conto che l’uniformità culturale del Bel Paese è una condizione unica e singolare nel panorama europeo. La presenza capillare della Chiesa Cattolica ha rappresentato per secoli un fattore identitario significativo della nostra comunità nazionale. Oggi tuttavia la cattolicità fatica a mantenere la medesima centralità e diviene un elemento sempre meno determinante della nostra italianità. Infatti, se fino a qualche decennio fa, nessun cittadino italiano poteva dirsi “non-cattolico”, (se non altro in senso culturale), oggi la situazione è assai più complessa e varia. Basta entrare in una scuola, in un supermercato, attraversare un parco pubblico o fare la coda alla posta per riconoscere una pluralità di lingue, abiti, abitudine, copricapi e idiomi che sono lì a testimoniare il tessuto multi-etnico del nostro Paese.

Se da una parte è arduo sapere con esattezza come comportarsi in casi come questi, dall’altra mi pare evidente cosa sia necessario evitare: non possiamo chiudere gli occhio sulla realtà, fingere di vivere in un tempo di cristianità diffusa o aggrapparsi a usanze e tradizioni come a dei totem da venerare e come gabbie in cui rinchiudersi. Che piaccia o no, la bellezza e la ricchezza millenaria della fede cristiana chiede oggi di essere declinata e tradotta in un mondo plurale e multiculturale, in cui l’altro è portatore di una identità che, per quanto distante dalla nostra, non è inevitabilmente minacciosa. Difficile dire dall’esterno se il consiglio di istituto di Pioltello abbia fatto bene o no a proclamare questo giorno di festa “inusuale”, occorre però riconoscere che il 40% dei bambini di quella scuola appartiene ad una religione differente dal cristianesimo e che in molte classi in giro per l’Italia tale proporzione è assai più elevata. Come ci confrontiamo con questa situazione? Che scelte ed atteggiamenti mettiamo in atto? Può la difesa a priori del nostro passato essere la sola risposta possibile?

Ho il sospetto che talvolta questa scelta “identitaria” nasconda una fragilità culturale circa chi siamo, da dove veniamo e quali sono i nostri valori. La complessità del reale spesso spaventa coloro che non hanno un’autentica identità forte e matura e tendono a percepire ogni differenza come una minaccia. Credo che l’unica scelta davvero possibile, al di là degli slogan, delle ideologie e delle bandiere politiche, sia una lenta, faticosa, e talvolta fallimentare e dolorosa, convivenza. Lo sanno bene coloro che tutti i giorni sono in prima linea nel campo dell’istruzione, dell’educazione, dell’accoglienza e dell’integrazione. Forse non ci sono molte opzioni: o l’altro resta l’avversario da cui occorre difendersi affinché non ci porti via il pane quotidiano, oppure accettiamo la sfida irta e complicata della fratellanza, in nome della quale l’altro, benché diverso da me (proprio come accade tra fratelli!) è un compagno di viaggio che mi aiuta e mi provoca a comprendere meglio chi sono.

Pubblicato su Il Cittadino del 26 Marzo 2024 (QUI)

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