Ho sempre subito un notevole fascino per quel gesto umile ma intenso che si celebra nella sera del giovedì santo: il Rabbi di Nazareth, lasciate le sue vesti, durante la cena si mette a lavare i piedi dei propri discepoli, increduli e stupiti per quello che stava accadendo. È un gesto davvero incredibile: lui, il maestro, assume la posizione del servo, quell’umile condizione di chi è più in basso di tutti e compie il più umile dei gesti. Lo stupore forse nasce dalla constatazione di quanto questo modo di agire contrasti con la logica del mondo: il grande si fa piccolo, cerca per se stesso il posto dell’ultimo, quello che nessuno vuole occupare. È in questa logica paradossale che si sprigiona la forza e l’annuncio di quella cena rituale a Gerusalemme: l’alto diventa basso, il sommo diviene infimo, il ricco povero, il potente misero, il padrone servo.
C’è una cosa che davvero mi colpisce di questo amore così strano e, in un certo modo, eccessivo: l’amore del Maestro per suoi non è mai un amore che satura la relazione, non la esaurisce, non riempie ogni piccolo spazio, non pervade ogni antro, ogni tempo, ogni movimento.
L’amore profondo del Maestro, come ogni vero amore dovrebbe essere, lascia spazio, concede libertà, garantisce un margine di manovra, di azione e di risposta. Lo strano stile di amare di Gesù, lascia spazio al dubbio, alla domanda, al tentennamento, ai ripensamenti, persino alla incomprensione fino al tradimento. È davvero straordinario questo modo di amare! In quell’amore trovano cittadinanza i dubbi e il rinnegamento di Pietro, l’incomprensione degli Apostoli, l’indifferenza della gente, persino il tradimento di Giuda! È un amore che offre ma non impone, che dona ma non lega, che riempie ma non satura.
Provo molta invidia per quel modo di stare accanto alle persone, per quell’atteggiamento talmente radicale e, allo stesso tempo, disinteressato che tutto accetta, tutto sopporta, tutto spera. Che bello essere capace di lavare i piedi a qualcuno ben sapendo che quello comprenderà in seguito, non aspettandosi una piena trasparenza e riconoscenza per le nostre azioni. Che bello lavare i piedi a qualcuno convivendo con i suoi dubbi, i suoi “ma”, i suoi ritardi e le sue perplessità. Che bello sarebbe saper condividere il pane anche con il proprio nemico, anche con colui che è pronto al tradimento, al rinnegamento o semplicemente alla fuga.
Che misura deve raggiungere la nostra umanità per sapere abitare queste esperienze con una tale fortezza da non esserne schiacciato e da non trasformale in sorgente di odio e risentimento?
Penso davvero che quel Rabbi ci insegni una misura eccedente dell’amore, una misura che spalanca il tempo all’eterno e che fa di un piede lavato una sporgenza vertiginosa sull’abisso.









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