abbiamo due vite…

Arriva un punto della vita in cui ti rendi conto che la sfida evolutiva che hai di fronte consiste in una cosa molto semplice, persino banale sotto certi aspetti: lasciar andare. La percepisci come una esigenza vitale, un compito che hai di fronte e a cui non puoi sottrarti, una tappa ineludibile del vivere su questa terra. L’appello che la vita ti fa è chiaro e allo stesso tempo assai esigente: serve maturare la capacità di lasciar andare, aprire le mani, mollare la presa, esercitarsi l’arte del congedo, imparando a fare un passo indietro.

La cosa ti suona strana perché forse hai speso un’intera vita per cercare di possedere qualcosa: una posizione, delle amicizie, legami solidi, un riconoscimento, beni materiali e spirituali, competenze e capacità. E arriva poi il giorno in cui non ti è chiesto di rinunciare a tutto questo, ma di imparare l’arte del distacco, ossia la capacità di non attaccarsi, di non identificarsi e di andare oltre. L’esistenza ti fa capire che esiste un oltre verso cui dirigerti e che un attaccamento ossessivo verso quello che possiedi sarebbe solo un modo per non crescere, per restare fermi, fissi, immobili.

Lasciare andare non è frutto di un movimento di disprezzo o di indifferenza, ma fa parte di un cammino di semplificazione, di essenzializzazione della tua vita, per arrivare e custodire solo quanto è realmente necessario. È così che comprendi l’invito a lasciare andare: lasciare andare i figli, affinché possano percorrere la propria strada; lasciar andare quelle amicizie che restano al palo, lasciar andare chi non vuole stare accanto a te, lasciar andare le attese verso le persone, le inutili aspettative che nutri verso la gente; lasciar andare i sogni di gloria e le pretese di riconoscimento; lasciar andare le persone che perdi per strada, affinché non diventino delle zavorre per il tuo cammino.

Lasciare andare il passato con tutte le cose brutte e belle che esso ha portato: lasciar andare i dolori ed i rimpianti, le fatiche e le ferite, le vittorie e tutti traguardi tagliati. Non serve trattenerli perché essi sono già parte di te, appartengono a quello che sei oggi. È solo sapendo lasciar andare che puoi tentare di abitare il presente, di vivere l’oggi, di propiziare l’avvenire. Da qualche parte ho letto che in fondo abbiamo due vite: la seconda inizia quando ci rendiamo conto di averne una sola.

Forse è solo quando impari a lasciar andare che cominci a compiere i passi in questa seconda vita, una vita più corta di quello che pensavi, una vita in cui il tempo che hai di fronte è assai minore di quello che è hai alle tue spalle, una vita in cui la precarietà diventa un inquilino ormai stabile dei tuoi giorni. In questa seconda vita è essenziale camminare leggeri, lasciando inutili valigie piene di ricordi e persone che ormai appartengo a ieri. In questo tratto della vita scopri la bellezza di viaggiare leggeri, senza inutili fardelli, manie di protagonismo, fame di ribalta, sete di successo, la brama di essere necessariamente apprezzato e ricambiato.

Arriva un punto nella vita in cui sperimenti quella gioiosa leggerezza che appartiene a chi sta bene con se stesso, a chi sa prendersi cura del proprio mondo e sa guardare al domani con semplice e appassionata fiducia.

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