Arriva un punto della vita in cui ti rendi conto che la sfida evolutiva che hai di fronte consiste in una cosa molto semplice, persino banale sotto certi aspetti: lasciar andare. La percepisci come una esigenza vitale, un compito che hai di fronte e a cui non puoi sottrarti, una tappa ineludibile del vivere su questa terra. L’appello che la vita ti fa è chiaro e allo stesso tempo assai esigente: serve maturare la capacità di lasciar andare, aprire le mani, mollare la presa, esercitarsi l’arte del congedo, imparando a fare un passo indietro.
La cosa ti suona strana perché forse hai speso un’intera vita per cercare di possedere qualcosa: una posizione, delle amicizie, legami solidi, un riconoscimento, beni materiali e spirituali, competenze e capacità. E arriva poi il giorno in cui non ti è chiesto di rinunciare a tutto questo, ma di imparare l’arte del distacco, ossia la capacità di non attaccarsi, di non identificarsi e di andare oltre. L’esistenza ti fa capire che esiste un oltre verso cui dirigerti e che un attaccamento ossessivo verso quello che possiedi sarebbe solo un modo per non crescere, per restare fermi, fissi, immobili.
Lasciare andare non è frutto di un movimento di disprezzo o di indifferenza, ma fa parte di un cammino di semplificazione, di essenzializzazione della tua vita, per arrivare e custodire solo quanto è realmente necessario. È così che comprendi l’invito a lasciare andare: lasciare andare i figli, affinché possano percorrere la propria strada; lasciar andare quelle amicizie che restano al palo, lasciar andare chi non vuole stare accanto a te, lasciar andare le attese verso le persone, le inutili aspettative che nutri verso la gente; lasciar andare i sogni di gloria e le pretese di riconoscimento; lasciar andare le persone che perdi per strada, affinché non diventino delle zavorre per il tuo cammino.
Lasciare andare il passato con tutte le cose brutte e belle che esso ha portato: lasciar andare i dolori ed i rimpianti, le fatiche e le ferite, le vittorie e tutti traguardi tagliati. Non serve trattenerli perché essi sono già parte di te, appartengono a quello che sei oggi. È solo sapendo lasciar andare che puoi tentare di abitare il presente, di vivere l’oggi, di propiziare l’avvenire. Da qualche parte ho letto che in fondo abbiamo due vite: la seconda inizia quando ci rendiamo conto di averne una sola.
Forse è solo quando impari a lasciar andare che cominci a compiere i passi in questa seconda vita, una vita più corta di quello che pensavi, una vita in cui il tempo che hai di fronte è assai minore di quello che è hai alle tue spalle, una vita in cui la precarietà diventa un inquilino ormai stabile dei tuoi giorni. In questa seconda vita è essenziale camminare leggeri, lasciando inutili valigie piene di ricordi e persone che ormai appartengo a ieri. In questo tratto della vita scopri la bellezza di viaggiare leggeri, senza inutili fardelli, manie di protagonismo, fame di ribalta, sete di successo, la brama di essere necessariamente apprezzato e ricambiato.
Arriva un punto nella vita in cui sperimenti quella gioiosa leggerezza che appartiene a chi sta bene con se stesso, a chi sa prendersi cura del proprio mondo e sa guardare al domani con semplice e appassionata fiducia.









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