“Nella Chiesa c’è spazio per tutti, per tutti!” Così papa Francesco ha voluto rispondere alle critiche ricevute dopo la maldestra uscita di qualche giorno fa, riportata dai giornali mentre era in corso una seduta a porte chiuse con i vescovi italiani.
Sono felice che il papa non perda occasione per rimarcare come le porte delle comunità cristiane siano sempre aperte a tutti e, come ama dire lui, la chiesa non è un dogana che concede visti di ingresso o patenti di moralità. Tuttavia penso che sperare che la questione della presenza delle persone omossessuali si possa risolvere con questo – per quanto apprezzabile – appello sia un po’ ingenuo, perché poi, non appena le cose entrano nel concreto e si confrontano con questioni “reali”, i nodi vengono al pettine. Il diniego dell’accesso ai seminari per le persone omosessuali è un esempio tanto chiaro quanto eloquente. Forse perché il problema non è lo spazio disponibile per tutti ma la dignità con la quale si occupa quello spazio. Anche il mio cane trova spazio in casa mia ma non lo considererei un membro della mia famiglia. Se un persona nella chiesa ci sta come un minorato e senza poter esercitare in pienezza la propria dignità battesimale, possiamo certo dire che c’è spazio ma non dignità.
Possiamo girarci attorno finché si vuole e addolcire la pillola come preferiamo, ma credo le persone con orientamento omosessuale non trovino un reale posto nelle nostre chiese, perché, in fondo, il sospetto che l’omosessualità sia intrinsecamente connessa alla perversione, alla pedofilia, alla depravazione sessuale è estremante radicata nella nostra mentalità cattolica. Non è una opinione, è sufficiente leggere il numero 2357 del catechismo della Chiesa Cattolica che così recita: “Appoggiandosi sulla Sacra Scrittura, che presenta le relazioni omosessuali come gravi depravazioni, la Tradizione ha sempre dichiarato che « gli atti di omosessualità sono intrinsecamente disordinati ». Sono contrari alla legge naturale. Precludono all’atto sessuale il dono della vita. Non sono il frutto di una vera complementarità affettiva e sessuale. In nessun caso possono essere approva”. Si può fare spazio a tutti ma se si considera il nuovo arrivato un malato o un pervertito è difficile che quello si possa sentire a casa.
Confesso che un po’ mi disturba questa doppiezza che anima la riflessione ed i pronunciamenti ecclesiali attorno a questo tema: c’è una ambiguità di fondo che è assai evidente e che, soprattutto, è percepita come urticante da coloro che sperimentano sulla propria pelle un orientamento sessuale diverso da quello eterosessuale.
Per quale motivo una persona che è chiamata al celibato non possa entrare in seminario se è omosessuale è una cosa che fatico a capire, se non assumendo la convinzione che l’omosessualità sia segno di una profonda deviazione della personalità incompatibile con il ministero.
È una regola basilare della comunicazione: serve coerenza tra parole e gesti, per evitare il rischio dell’incoerenza o, peggio ancora, dell’ipocrisia.









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