Siamo rimasti tutti col fiato sospeso davanti a quei due metri e ventisette centimetri che hanno segnato la fine della corsa olimpica di Gianmarco Tamberi: dopo tre tentativi, l’atleta italiano ha dovuto abbandonare la gara, classificandosi undicesimo nella finale di salto in alto maschile. La fortuna non ha certo giocato a favore di Gimbo: prima della partenza per Parigi, delle dolorosissime coliche renali lo avevano costretto a letto. Ripresosi in pochi giorni, il giovane atleta era comunque partito per la capitale francese, fiducioso di poter competere. La notte prima della gara, una nuova colica renale lo ha portato in pronto soccorso, costringendolo a comunicare ai fan che “tutto è finito”. Gianmarco ci ha abituato a recuperi dell’ultimo minuto e così, poche ore prima della gara, eccolo di nuovo in pista, pronto per la battaglia. Ma le cose sono andate come sappiamo: un undicesimo posto che delude le aspettative dell’atleta, mesi di preparazione andati in fumo, e la conferma dell’oro di Tokyo 2020 che non arriverà mai.
La vicenda di Gianmarco ricorda un po’ quella di Santiago, il vecchio pescatore narrato nel capolavoro di Ernest Hemingway “Il vecchio e il mare”. Il racconto, premiato con il Pulitzer nel 1953, contribuì a far ottenere all’autore il Premio Nobel per la Letteratura nel 1954.
Santiago è un anziano pescatore che da molti giorni non riesce a catturare neanche un pesce. La gente inizia a credere che porti sfortuna e dubita delle sue capacità. Un giorno, uscito in mare da solo, Santiago riesce a catturare un enorme marlin, che trascina la sua barca per due giorni e tre notti prima che il pescatore riesca a ucciderlo. Tuttavia, il pesce è troppo grande per stare sull’imbarcazione, così l’uomo è costretto a legarlo in acqua per condurlo a casa. Il sangue attira gli squali, che finiscono per divorare la carcassa dell’animale. Giunto in porto, a Santiago non resta che una grande lisca di pesce da mostrare agli altri pescatori. Al giovane Manolin, che era stato in precedenza il suo aiutante, Santiago non può che confessare tutta la sua delusione: «“Mi hanno battuto, Manolin,” disse. “Mi hanno proprio battuto.”»
La storia di Santiago forse ci insegna una lezione: nella vita ci sono desideri buoni e desideri cattivi. Quando un desiderio buono si realizza, porta gioia e pienezza. Eppure, ci sono desideri buoni che, se perseguiti a ogni costo, rischiano di trasformarsi in qualcosa di mortale. È una strana legge della vita: il bene cercato con ostinazione rischia di diventare un male; un anelito positivo, se perseguito con accanimento, tende a rivoltarsi contro chi lo vive. Insomma, non è vero che il fine giustifica i mezzi, come sostiene Machiavelli, poiché la modalità con cui perseguiamo un obiettivo può trasformare un fine buono in uno distruttivo. Vale per la pesca di Santiago, forse per l’oro di Gianmarco, ma anche per la nostra vita: il desiderio di essere in perfetta forma fisica è una cosa buona, ma quando diventa un’ossessione, si trasforma in un male; desiderare un figlio è positivo, ma quando diventa un’ossessione, il bene si trasforma in qualcosa di mortale; aspirare al successo nella carriera è positivo, ma quando diventa accanimento, si rischia l’autodistruzione.
La storia di Hemingway ci spinge a considerare che non sempre la vittoria è sinonimo di successo. Pur avendo catturato il marlin, il pescatore ritorna con solo una lisca a testimonianza della sua impresa, avendo perso tutto il resto lungo il percorso. Talvolta, nella vita, inseguire un sogno a tutti i costi può trasformarsi in un’impresa vuota, dove il prezzo pagato è la perdita di se stessi.
Pubblicato su il Cittadino del 13 agosto 2024 (QUI)









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