donne e uomini di speranza

Che anno è stato questo 2024 che ci apprestiamo a breve a concludere? Cosa ricorderemo nel futuro di questi dodici mesi che ormai scivolano velocemente verso la fine? Se dovessimo scegliere una parola per descrivere l’esperienza collettiva vissuta in questo periodo, quella parola sarebbe “incertezza Viviamo in un’epoca sempre più caratterizzata da un inusuale senso di precarietà, ansia, preoccupazione e imprevedibilità. Se da un lato la fluidità è divenuta una costante della post-modernità, dall’altro il trascorrere dei giorni sembra acuire questo sentimento di instabilità, dipingendo un futuro che stenta a promettere miglioramenti o nuove prospettive di speranza.

Scriveva, quasi profeticamente, Friedrich Nietzsche più di un secolo fa: “Chi ci dette la spugna per cancellare l’intero orizzonte? Che mai facemmo, a sciogliere questa terra dalla catena del suo sole? Dov’è che si muove ora? Dov’è che ci moviamo noi? Via da tutti i soli? Non è il nostro un eterno precipitare? E all’indietro, di fianco, in avanti, da tutti i lati? Esiste ancora un alto e un basso? Non stiamo forse vagando come attraverso un infinito nulla?” (La Gaia Scienza, aforisma 125). Oggi, viviamo anche noi l’esperienza di un mondo privo di punti di riferimento, senza un faro che guida la rotta, in cui l’orizzonte sembra essere stato spazzato via da un’ondata di violenza e conflitto.

Chiudiamo questo anno con due guerre ancora lontane da una risoluzione o anche solo da una tregua. Ogni sera, dinanzi alla TV, siamo testimoni impotenti della dolorosa conta delle vittime sui vari fronti, una litania alla quale ci abituiamo troppo facilmente. L’incertezza della globalizzazione e l’effetto del turbo-capitalismo hanno spinto, in questo 2024, molti Paesi tra le braccia di pericolosi populismi che promettono ricette prêt-à-porter per gli enormi problemi dell’oggi. Di fronte alla complessità di un mondo sempre più interconnesso, suonano seducenti le sirene di soluzioni nazional-populiste, capaci, a loro dire, di sciogliere gli intrecci inestricabili della contemporaneità con una bacchetta magica. Assistiamo sconvolti e preoccupati a ripetuti episodi di violenza contro i più vulnerabili: bambini, donne, anziani, come se ogni giorno la vita umana perdesse una parte del suo sacro valore e della sua dignità. Questi sono segni di una aggressività nascosta che serpeggia nel tessuto sociale, indicativi di un malessere e di una mancanza di cultura di cui forse non abbiamo ancora misurato appieno gli effetti.

È proprio in questi tempi duri che forse siamo tutti chiamati, come singoli e come comunità, a riscoprire e abitare nuovamente il valore profetico della speranza, come Francesco ci invita a fare in occasione dell’apertura dell’anno giubilare che ci attende. Occorre ritornare a essere uomini e donne di speranza, non perché ingenuamente ottimisti sul domani, ma perché determinati a seminare e custodire i numerosi semi di bene che ogni giorno incontriamo lungo la nostra strada. È tempo di alzare la testa, di sognare e prospettare un mondo diverso in cui vorremmo far abitare i nostri figli. È tempo di trovare nuove parole per descrivere ciò che accade, con l’umiltà di chi sa che il passato offre importanti strumenti per comprendere l’oggi, ma che il futuro esige nuovi pensieri e nuovi interpreti.

È tempo di affrontare con tenacia e fiducia il travaglio del presente, non come le ultime grida di un moribondo, ma come i gemiti che annunciano la nascita di qualcosa di nuovo.

Pubblicato sul numero di Dicembre di Lodivecchio Mese

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