Notre Dame, Ken Follet ed il vortice del tempo

Chi ama i libri di Ken Follett ha sicuramente letto con avidità l’intrigante saga de “I pilastri della Terra”. Questa serie di romanzi storici inizia con il libro pubblicato nel 1989, intitolato appunto “I pilastri della Terra”. Ambientata principalmente nell’Inghilterra medievale del XII secolo, la saga si concentra sulla costruzione di una cattedrale gotica nella città immaginaria di Kingsbridge.

Nel primo romanzo, le vite di diversi personaggi si intrecciano con la costruzione della cattedrale. Tra questi spiccano Tom il Costruttore, un muratore con il sogno di costruire una cattedrale; Aliena, una nobildonna che affronta numerose sfide; e Philip, il priore del monastero che diventa il faro spirituale del progetto. La costruzione della cattedrale di Kingsbridge funge da fulcro catalizzatore, unendo le vite dei vari protagonisti e offrendo uno sfondo unitario alla piccola comunità dell’Inghilterra medievale.

Effettivamente in passato, la costruzione delle chiese rappresentava davvero l’ambizione collettiva di un popolo, un progetto che unificava sogni, desideri e volontà di diverse classi sociali e generazioni. Costruire una cattedrale era sinonimo di intraprendere un’impresa eroica e straordinaria, un progetto collettivo capace di dare senso alla storia di un’intera comunità.

Oggi le dinamiche sono cambiate a tal punto che potremmo dover rivedere il significato dell’espressione “costruire cattedrali”. Dopo il tragico incendio che nel 2019 ha colpito Notre-Dame, i lavori di restauro sono iniziati immediatamente. In soli cinque anni, pochi giorni fa, la cattedrale è stata restituita alla città di Parigi e al mondo intero, come simbolo di rinascita e testimonianza del genio umano coinvolto nella sua ricostruzione. Per costruire l’originale, i lavori iniziarono nel 1163 e furono completati intorno al 1345, richiedendo 182 anni. La sua ricostruzione, invece, è avvenuta in soli cinque anni, un risultato davvero strabiliante!

Siamo tutti lieti di poter nuovamente visitare Notre-Dame nei nostri viaggi futuri a Parigi. Tuttavia, ciò che è accaduto merita una riflessione non solo sull’arte e la tecnica costruttiva attuale, ma anche sui riflessi antropologici ed esistenziali della questione.

La ricostruzione di Notre-Dame rappresenta, se ce ne fosse ancora bisogno, un chiaro segnale dell’impressionante accelerazione che caratterizza il tempo nella nostra società post-moderna. Al giorno d’oggi, riusciamo a raggiungere in pochi anni obiettivi che, in passato, avrebbero richiesto secoli di sforzi e dedizione. Questa capacità di agire con rapidità ci rende veloci, efficienti, performanti e potenti. Tuttavia, l’efficienza che abbiamo conquistato porta con sé una contrazione del tempo disponibile, riducendo la nostra capacità di proiettare lo sguardo verso il futuro e la prospettiva di un domani diverso. Viviamo in un’età in cui tutto deve accadere ora, immediatamente, esaudendo l’impulso del presente che spesso guida i nostri desideri. Anche un’impresa complessa come la costruzione di una cattedrale è diventata un’attività “a portata di mano”, realizzabile in un arco di tempo assai ridotto.

Siamo tutti lieti per la riapertura di Notre-Dame, ma è importante non sottovalutare il significato di questo straordinario risultato. C’è infatti il rischio di perdere il senso di un destino comune, il valore di un progetto che viene condiviso e tramandato di generazione in generazione, e la percezione di far parte di una storia più ampia, che ci precede e continuerà anche dopo di noi. Oggi siamo in grado di costruire cattedrali nel tempo che, una volta, sarebbe stato necessario per erigere semplici case. Tuttavia, immersi nel vortice di un tempo che scorre velocemente, rischiamo di smarrire i ritmi più umani, e il passo di un’esistenza che non ci travolga, annienti o distragga dal vivere autentico.

pubblicato su il Cittadino del 23 dicembre 2024

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