I recenti dati dell’ISTAT sulla partecipazione alla celebrazione eucaristica domenicale sono impietosi. Il confronto tra le percentuali del 2003 e quelle del 2023 è sorprendente: il numero di persone che partecipano alla messa settimanalmente si è quasi dimezzato in soli vent’anni. Questo declino, seppur con variazioni nella distribuzione, interessa significativamente tutta la popolazione, indipendentemente dai criteri di classificazione utilizzati. Il calo del numero di praticanti interessa tutte le fasce d’età, le aree geografiche della nazione, le grandi città così come le aree più periferiche e provinciali.
Come avviene con ogni rilevazione statistica, il quadro risultante è semplificato, ma riesce comunque a delineare chiaramente il trend complessivo. Nel 2003, il 35,4% della popolazione dichiarava di frequentare la chiesa almeno una volta a settimana; oggi quel numero è sceso al 17,9%. Per contrasto, venti anni fa solo il 15,2% affermava di non andare mai a messa, mentre oggi siamo al 31,5%. Un’analisi per fasce d’età non mostra un quadro migliore: attualmente, solo il 32% dei ragazzi tra i 6 e i 13 anni va a messa settimanalmente, rispetto al 61% del 2003; tra i diciottenni, il dato scende al 5% rispetto al 24% del 2003, mentre nella fascia 45-54 anni è il 15% rispetto al 31% di due decenni fa. Anche la popolazione anziana non si discosta da questo trend: tra i 65 e i 74 anni, la partecipazione è attorno al 25% (era il 50% nel 2003) e tra gli ultra settantacinquenni è del 28%, rispetto al 44% del 2003.
Potremmo continuare, ma il messaggio è chiaro: il numero di fedeli sta drasticamente diminuendo negli ultimi vent’anni e nulla fa pensare a un’inversione di tendenza nel breve periodo.
Un’analisi tra le pieghe della ricerca rivela aspetti meritevoli di attenzione. Il divario tra Nord e Sud del Paese si è ampliato negli ultimi vent’anni anche per quanto riguarda la pratica religiosa: la diminuzione nel Nord è stata molto più pronunciata rispetto al Sud e alle Isole. Questo dato non stupisce, ma lo è invece un altro: la partecipazione alla messa ha mostrato maggiore tenuta nelle aree metropolitane rispetto a quelle rurali, dove le percentuali di partecipazione sono crollate il doppio rispetto a chi vive nelle grandi città. In poche parole, l’idea che le province italiane abbiano un legame più forte con i sacramenti sembra ormai un mito superato.
Fino a qui si è parlato dei freddi dati statistici, che invitano a riflessioni approfondite. Mi permetto due rapide considerazioni personali, di natura più pastorale che sociologica.
La prima riguarda la velocità del cambiamento nel tessuto ecclesiale, che è sorprendente non solo per l’entità del fenomeno, ma soprattutto per la rapidità con cui è avvenuto. In appena vent’anni, la comunità cristiana ha perso metà dei suoi partecipanti, un ritmo che credo non abbia precedenti nei decenni e nei secoli scorsi. La Chiesa, tradizionalmente abituata a tempi lunghi e a reazioni lente alle novità storiche, rischia di vedere in questa sua “inerzia” un limite, non tanto per non perdere “follower”, quanto per riuscire a comunicare il messaggio del Vangelo all’uomo contemporaneo. I linguaggi, gli orizzonti di senso, i pensieri, i valori e i riferimenti culturali cambiano rapidamente, lasciando le comunità cristiane disorientate dinnanzi a ciò che accade attorno a loro.
La seconda considerazione riguarda il messaggio che questi dati trasmettono alla comunità cristiana. La fede potrebbe apparire meno attraente, la vita spirituale meno rilevante o la Chiesa percepita come un’istituzione obsoleta. Tuttavia, credo che la vera lezione sia un’altra: la partecipazione alla messa non è più il punto di partenza di un cammino di fede, né un dato scontato e obbligato. Piuttosto, la celebrazione della messa rappresenta un punto di arrivo di un percorso di fede che inizia altrove, magari nella quotidianità delle vite o in quelle periferie esistenziali tanto care a Papa Francesco. Oggi il focus non dovrebbe essere recuperare la partecipazione a specifici riti liturgici, ma testimoniare una parola di Vita nei luoghi della vita quotidiana, suscitare domande, generare processi, e stimolare l’interesse verso quell’eccedenza di umanità che il Vangelo sembra incarnare. Forse oggi la fede si intreccia meno con il vissuto quotidiano, ma certamente non manca la ricerca di senso, il desiderio di vita, e la fame di una pienezza che una certa cultura appare incapace di offrire.
Scriveva don Primo Mazzolari: “Lungo la strada è cominciata la Chiesa; lungo le strade del mondo la chiesa continua. Non occorre, per entrarvi, né battere alla porta, né fare anticamera. Camminate e la troverete; camminate e vi sarà accanto; camminate e sarete nella chiesa”. Forse dovremmo ripartire da lì.
pubblicato sul il Cittadino del 4 gennaio 2025









Lascia un commento