Le parole, a volte, custodiscono piccoli tesori, come scrigni che rivelano inattese ricchezze a chi sa esplorarne il significato e lasciarsi guidare dalla loro etimologia. Le parole sono come preziosi oggetti che, nel tempo, hanno accumulato così tanta polvere da rendere difficile intravedere il loro valore intrinseco e il significato originario.
Prendiamo, ad esempio, i termini “maschio” e “femmina”, oggi spesso abusati e fraintesi. Su di essi, la storia, le abitudini, le usanze e le tradizioni hanno costruito complesse sovrastrutture culturali che rischiano di nascondere il significato originale. Alla “mascolinità” è quasi automatico associare aggettivi come forte, sicuro, dominante, coraggioso, razionale, competitivo, indipendente e virile. Al contrario, alla “femminilità” si associa spesso un’idea di delicatezza, eleganza, comprensione, sensibilità, dolcezza, maternità, accoglienza e grazia.
Tuttavia, come sottolinea la Prof.ssa Anita Prati in un suo recente intervento , la prospettiva cambia quando si ha la pazienza di andare oltre la superficie e di indagare l’origine delle parole. Il termine “maschio” ha origine dalla radice indoeuropea ma-, una radice molto vitale che si presenta in molteplici forme e il cui significato fondamentale rimanda all’idea di “misurare, pensare, preparare, costruire”. Questa radice si trova in parole antichissime come “madre, materia, mano, mese, metro, mente, modo” e nell’aggettivo “umano”.
È affascinante notare come la parola “maschio” sia legata a “madre” (colei che dà la misura, l’ordinatrice) attraverso questa radice, che racchiude una qualità essenziale dell’umano: la capacità di comprendere e interpretare il mondo.
La parola “femmina”, invece, deriva dal latino “foemina”, dove foe- è una radice che rimanda a un verbo che indica l’azione del succhiare e quindi dell’allattare. La “femmina” è colei che allatta, nutre, partorisce e genera.
Rispetto a “maschio”, che esprime l’umano come capacità di comprendere e interpretare il mondo, “femmina” enfatizza il potenziale generativo legato sia all’atto singolare della nascita, sia al processo continuo di nutrizione e cura.
Anche il termine “padre”, proveniente dalla stessa radice del verbo “pascolare”, porta con sé l’idea di nutrimento e cura: il padre è colui che nutre o provvede al nutrimento.
È davvero interessante osservare come “maschio” e “madre” siano legati dall’idea di dare senso al mondo, mentre “femmina” e “padre” condividano l’idea del prendersi cura e nutrire.
L’etimologia ci offre accostamenti inediti: tra maschio e madre, mascolinità e maternità, suggerendo che il concetto di dare senso al mondo non sia solo prerogativa maschile ma anche materna. Allo stesso modo, ci invita a pensare alla femmina in risonanza con il padre, alla femminilità in parallelo con la paternità. Sebbene prendersi cura e provvedere al nutrimento siano tradizionalmente considerati ruoli femminili, abbiamo forse sottovalutato la paternità come espressione di cura. L’approfondimento etimologico dei termini “maschio” e “femmina” ci invita a riconsiderare le nostre percezioni sulle identità di genere e sui ruoli tradizionalmente associati a mascolinità e femminilità. Lontano dagli stereotipi, scoprire che queste parole condividono radici comuni e qualità simili ci sprona a riflettere su una visione più ricca ed integrata delle qualità umane.
Se una cultura patriarcale aveva assegnato ruoli rigidi e distinti al maschio e alla femmina, un viaggio attraverso le parole ci ricorda che le identità sono costruzioni assai più complesse ed reciproche, meno rigide e prefissate. Esplorare l’origine delle parole ci permette di maturare una comprensione dell’umano assai più ricco di quanto potremmo immaginare.
pubblicato su il Cittadino del 21 gennaio 2025









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