la disumanità eretta a standard etico

Due immagini provenienti dagli Stati Uniti mi sembrano essere diventate particolarmente iconiche in questi primi giorni della nuova presidenza Trump. La prima ritrae il pulpito della Cattedrale di Washington, dove la vescova Mariann Budde della diocesi episcopale tiene il tradizionale sermone il giorno dopo il giuramento del nuovo presidente. La seconda è un’istantanea pubblicata sul profilo della Casa Bianca su X, che mostra i “deportation flights”, ossia i voli che espellono i migranti irregolari dal suolo americano. Nell’immagine si vede un gruppo di uomini incatenati, con tratti probabilmente sudamericani, mentre si avviano verso la stiva di un aereo militare per l’imbarco.

Queste due immagini, pur diverse e opposte, illustrano il clima che si sta instaurando e indicano la direzione che la nuova leadership americana intende prendere.

La vescova Mariann Budde, la prima donna vescova nella sua chiesa, è una delle voci più influenti della Chiesa episcopale americana, nota per il suo impegno verso la giustizia sociale e i diritti umani. Sono ben note le sue posizioni durante le proteste per la morte di George Floyd nell’estate del 2020. Nonostante la sua figura esile e il tono dolce del suo sermone, la vescova Budde non manca di coraggio e determinazione. Di fronte al neo-eletto presidente, acclamato e osannato come un nuovo Messia, si è rivolta a lui con queste parole: “Nel nome del nostro Dio, le chiedo di avere pietà, signor Presidente, di coloro nelle nostre comunità i cui figli temono che i loro genitori vengano portati via, e di aiutare coloro che fuggono da zone di guerra e persecuzioni nelle loro terre per trovare compassione e accoglienza qui”. Ha poi aggiunto: “Che Dio ci conceda la forza e il coraggio di onorare la dignità di ogni essere umano, di dire la verità gli uni agli altri nell’amore e di camminare umilmente gli uni con gli altri e con il nostro Dio per il bene di tutte le persone, sia in questa nazione che nel mondo”.

Queste sono parole miti, pacifiche e docili che comunque non risparmiano la denuncia del male, e sottolineano il dovere della compassione e la responsabilità per il bene comune di tutti coloro che hanno incarichi pubblici. Vedendo la risposta irritata del presidente e del suo seguito, ho l’impressione che l’ammonizione della vescova abbia colpito nel segno. Colpisce come, in un clima euforico e quasi inebriato dalla nuova era Trump, qualcuno, in nome del Vangelo degli ultimi, abbia il coraggio di rompere la narrazione dominante, di pronunciare parole fuori dal coro osannante e di porre una “pietra di inciampo” sul cammino del neo-eletto. Forse la vescova Budde ci insegna che sono tempi di franchezza e resistenza, tempi in cui è necessario chiamare le cose con il loro nome, tempi di vigilanza nei quali ci è chiesto di distinguere il bene dal male, senza compromessi, senza tentennamenti, senza la preoccupazione di accondiscendere al potere, anche quando questo mostra il suo volto più feroce e arrogante.

E tale volto crudele, e persino disumano, emerge dalla foto del primo “deportation flight”: non c’è solo la brutalità dietro quell’immagine di pochi poveri cristi ammanettati come criminali e usati come simboli di ferocia presidenziale; non è solo la brutalità in sé ma il bisogno davvero disumano di ostentare tale violenza, di pubblicizzarla, di farne un motivo di vanto, di promozione e di orgoglio. È la disumanità che assurge a modello, a standard etico, a valore di riferimento. E tutto questo compiuto da chi si sente “mandato da Dio” per una missione salvifica, protagonista di nuovi tempi messianici.

Connor Hartigan ricorda, su “America”, la rivista dei gesuiti statunitensi, le parole che Pio XI scrisse nel marzo 1937 nell’enciclica “Mit Brennender Sorge” (“Con profonda ansia”): “Chiunque esalti la razza, o il popolo, o lo Stato, o una particolare forma di Stato, o i detentori del potere, o qualsiasi altro valore fondamentale della comunità umana, (…) al di sopra del loro valore standard e li divinizzi a un livello idolatrico, distorce e perverte un ordine del mondo pianificato e creato da Dio; egli è lontano dalla vera fede in Dio e dal concetto di vita che tale fede sostiene (…). Nessuno, se non le menti superficiali, potrebbe ritrovarsi nei concetti di un Dio nazionale, di una religione nazionale; o tentare di rinchiudere entro le frontiere di un singolo popolo, entro i limiti angusti di una singola razza, Dio, il Creatore dell’universo, Re e Legislatore di tutte le nazioni di fronte alla cui immensità esse sono come una goccia in un secchio”.

È tempo di rileggere la storia, di fare memoria dei drammi passati e di riscoprire il coraggio della resistenza umana e cristiana che la vescova Mariann Budde ci ha testimoniato.

Pubblicato su il Cittadino del 28 Gennaio 2025 (QUI)

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