“Oggi il vento è cambiato. Oggi impera la fascinazione per gli uomini forti. La maleducazione, che normalmente non accettiamo in una classe scolastica o nel cortile di un oratorio, sembra essere diventata motivo di vanto. Qualcuno ha sdoganato il bullismo: l’eloquio irrispettoso, la mancanza di gentilezza, il tradimento della verità, la prepotenza, il sovvertimento dei fatti” scrive don Guglielmo nel suo consueto post settimanale sui social, e non si può che concordare.
Questa trasformazione è evidente nelle dichiarazioni dei leader mondiali che ascoltiamo ogni sera in televisione; si percepisce nel crescente clima di ostilità, nell’instabilità dei vecchi equilibri e nel disorientamento di una classe dirigente che appare stordita da questo nuovo mood planetario.
Don Guglielmo ricorda come, dopo il dramma dei primi decenni del secolo scorso, segnato da due guerre e da milioni di morti, l’Europa “inventò la pace”. Il processo iniziò con la libera circolazione delle materie prime e dalla loro spartizione. Condividere le risorse per le quali gli Stati avevano in precedenza combattuto si rivelò un’intuizione ambiziosa e profetica. “Con il Trattato di Parigi del 1951 si stabilì invece la libera circolazione dei beni essenziali per tutti, negando il diritto di imporre dazi o dogane al loro scambio. Da questa intuizione nacque, poco alla volta, la Comunità Europea. Finiva l’epoca dei forti contro i deboli, dei vassallaggi, di un feudalesimo meschino di marca medievale.”
La nascita della comunità europea dimostrò che un’economia fondata sulla collaborazione e lo scambio è di gran lunga più solida e efficiente rispetto a una basata su competizione estrema, il protezionismo nazionalistico ed i dazi
Attualmente questo modello è sotto attacco: non è solo il sistema economico “pacifico e collaborativo” a essere minacciato, ma un intero tessuto di valori fondato sui diritti inalienabili della persona umana, sulla democrazia come sistema per esercitare pienamente il diritto di cittadinanza, sul ruolo del diritto come limite all’arbitrio e alla prepotenza, e sulle istituzioni internazionali come luoghi di dialogo e conciliazione.
È tempo ora di resistenza, soprattutto per la vecchia Europa: non tanto e non primariamente per difendere un ruolo nel nuovo scacchiere internazionale, quanto per difendere il suo stesso DNA, quei valori e quei principi su cui è sorta e dei quali pare essere oggi rimasta la sola custode, in questo mondo in evoluzione. È una resistenza che va portata avanti non nel nome della forza o dell’interesse di parte, ma in nome di due millenni di storia, diritto e cultura che ci stanno alle spalle. È una resistenza che deve dimostrare di aver appreso le lezioni che la storia ci ha tragicamente insegnato, evitando che le sue tragedie siano state inutili e che gli errori del passato si ripetano.
Conclude così il suo post don Guglielmo: “Al sogno dei Trattati di Parigi del 1951, so che un giorno torneremo. Torneremo sicuramente allo spirito di una ritrovata collaborazione tra gli uomini. L’unico dubbio che mi tormenta riguarda il percorso che ci attende: vi torneremo con la logica e la sapienza, comprendendo che non esiste altra via di edificazione se non quella della solidarietà, oppure ci torneremo dopo aver imboccato la strada opposta, trasformando il mondo in una carneficina, come fummo costretti a fare alla fine della Seconda guerra mondiale?”
Pubblicato su il Cittadino del 25 febbraio 2025









Lascia un commento