Incontro Aeham Ahmad di fronte ad un caffè, approfittando del fatto che è in Italia per una serie di concerti nell’ambito dell’iniziativa “Lodi di Pace”, organizzata dal comune di Lodi insieme a moltissime associazioni. Durante il suo soggiorno abbiamo la possibilità di presentare il libro che abbiamo scritto a quattro mani “VIA DA YARMOUK – storia di un uomo salvato dal suo pianoforte”, edito da Le Piccole Pagine.
Ma chi è Aeham Ahmad? “La domanda mi porta a riflettere su come la mia identità sia cambiata nel tempo. Sono palestinese? Ho legami forti con questa cultura. Sono siriano, dato che mia madre è siriana? O sono tedesco, dal momento che ho un passaporto tedesco? Queste tre nazionalità si mescolano dentro di me ogni giorno. Il modo più semplice per presentarmi è semplicemente dire il mio nome e dove sono nato: sono Ahmad, nato a Damasco. Ma quando mi chiedi chi sono, la risposta non si limita solo al mio nome. Porta con sé domande sulla mia identità e su ciò che amo fare. Sono Ahmad, nato nel 1988 a Yarmouk, e sono un pianista.” Aeham è un pianista noto a livello internazionale, divenuto famoso nel 2014-2015 per le sue esibizioni pubbliche nel campo profughi di Yarmouk durante la guerra civile in Siria, che gli sono valse il soprannome di pianista di Yarmouk. Nel 2015 ha ricevuto il Premio internazionale Beethoven per i diritti umani, la pace, la libertà.
Ho conosciuto Aehem in uno dei molti concerti che tiene anche in Italia e da lì è nata la nostra conoscenza, sfociata poi in un libro, a testimoniare la nostra amicizia.
Aeham vive ora in Germania, insieme alla moglie e a tre figli, ma il campo di Yarmouk è assai presente nella sua storia: “Sai, siamo nati e cresciuti nel campo di Yarmouk. Non ci siamo mai visti come apolidi in Siria, né ci siamo sentiti diversi dai siriani, e anche la popolazione siriana ci ha sempre trattati alla pari. Tuttavia, ogni volta che ci chiedono la carta d’identità, leggiamo in rosso le parole scritte in arabo sulla tessera: “Rifugiato palestinese per tempo limitato in Siria”. È in quel momento che ti senti immediatamente un rifugiato. Il campo di Yarmouk è simbolo di tempi difficili, come gli anni ’70, quando era un centro per la rivoluzione palestinese, con molti combattenti che partivano da lì per la libertà della Palestina. Alcuni di questi attacchi hanno provocato la morte di cittadini israeliani. Tutto ciò mi fa sentire sia vicino che lontano dal campo di Yarmouk. Mi vedo come un ragazzo di Damasco che ha studiato nelle scuole di Damasco. Mi sento connesso e scollegato da Yarmouk perché la mia musica è diversa, la mia identità ora è diversa.”
Aeham ha il volto pulito ed un sorriso accogliente. Racconta la sua storia con parole miti e gesti gentili, tipici di chi non sente il bisogno di imporre la propria idea ma conosce bene il peso a la responsabilità del proprio passato .“Mi sento molto responsabile nel parlare di questo luogo, perché nessuno parla chiaramente di quei milioni di rifugiati palestinesi in Siria, più di un milione in diversi campi. Penso che sia arrivato il momento di raccontare questa storia e rappresentare tutti i rifugiati palestinesi e il campo. Sento Yarmouk dentro di me, ma allo stesso tempo non più. È un mix di sentimenti contrastanti.”
Come racconta il sottotitolo del nostro libro Aeham è davvero un uomo salvato dal suo pianoforte. “Penso che senza la musica non avrei avuto successo qui. Sarei stato uno dei tanti rifugiati. Anche se non mi considero un grande pianista, dopo 10 anni in Germania riesco ancora a suonare in più di 12 concerti al mese, e questo mi sorprende. Il pianoforte mi ha salvato. La musica mi ha davvero salvato anche se mi ha anche messo in pericolo in Siria. È utile essere qualcuno in tempo di guerra perché altrimenti diventi solo un numero. Un numero tra i morti. In ogni conflitto si parla di numeri: 60.000, 70.000 persone morte a Gaza. Ma si parla di alcuni nomi, di giornalisti o fotografi che sono morti, e vengono ricordati per nome. Non possiamo chiamare per nome quelle migliaia di persone che muoiono nel mondo. È per questo che la musica mi ha salvato. La musica mi ha reso qualcuno e questo “qualcuno” ha salvato la mia vita.”
pubblicato sul numero di Aprile di Lodivecchio Mese
Ecco inoltre il link (qui) della videointervista insieme ad Aeham, fatta da Lucia Macchioni per il Cittadino









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