Stavo assistendo in diretta ai funerali di Papa Francesco e riflettevo sul fatto che talvolta è necessaria una profonda fede per andare oltre la scenografia, la rappresentazione, l’ostentazione, i colori, le forme, l’eleganza dei vestiti, i movimenti di protocollo e la ritualità del cerimoniale. Serve una fede intensa per giungere alla sostanza, per toccare il nucleo vivo, il centro incandescente e il cuore dell’evento.
Tutta quella esteriorità dovrebbe fungere da percorso privilegiato per raggiungere l’essenziale, ma mi chiedo se, al giorno d’oggi, non rischi invece di trasformarsi in una barriera, un ostacolo che ci mantiene in superficie, sospesi nel vuoto, incapaci di arrivare al cuore della questione.
La fede è fatta di corpo, materia, luce, colore, abiti e gesti, movimenti e suoni. Se vuole essere autentica, deve essere incarnata in uno spazio e in un tempo, altrimenti si riduce a intimismo, ideologia e vaga intenzione. Eppure, il rischio di rimanere in superficie è evidente, come anche il pericolo di concentrarsi sul dito anziché sulla luna o di osservare il fumo che invade l’aria senza mai arrivare al fuoco che lo ha generato.
Confesso, è un mio limite, che quando assisto a certe manifestazioni mi rimane il dubbio sul livello di profondità che siamo in grado di raggiungere. Sarà che si arriva a un’età in cui si tollerano poco i pizzi, i gesti pomposi, gli abiti sgargianti e le ostentazioni impudiche. Giunge un tempo in cui si preferisce la penombra alla luce accecante, le sfumature ai colori vivaci, le parole sussurrate ai proclami assordanti, perché si realizza che il mistero delle cose risiede nella piccolezza e nell’umiltà delle esistenze.









Lascia un commento