E Dio chiederà conto

Ammetto di riuscire a leggere con fatica le notizie che arrivano da Gaza. Il livello di disperazione che quelle persone stanno vivendo è talmente alto da lasciare senza fiato. Ogni giorno è una lunga, infinita lista di nomi e numeri: ieri ottanta morti, tra cui ventidue bambini. La scorsa notte altri cento. È diventata una spaventosa litania quotidiana, sempre uguale, sempre più insopportabile. Muoiono a decine, ogni giorno, sotto le bombe micidiali dello Stato di Israele. Non sappiamo più cosa dire. Le parole si sono logorate, svuotate, consumate come la nostra capacità di provare pietà, compassione, indignazione.

Quanti morti palestinesi dobbiamo ancora contare per bilanciare il massacro del 7 ottobre? Quanti bambini dovranno essere sepolti prima che la sete di vendetta si plachi e il diritto internazionale possa tornare a valere anche lì, in quella terra martoriata? La furia israeliana non conosce più limiti, non ha più freni, e accetta ogni possibile “perdita collaterale” pur di colpire i suoi bersagli. Non importa se si nascondono in un campo profughi, in un ospedale o sotto una scuola. Tutto viene spazzato via da raffiche di artiglieria e bombe a grappolo, senza alcun rispetto per la vita di chi cerca solo rifugio, pane, acqua.

E intanto, da settimane, non entra più cibo né acqua. Intere comunità sono alla fame, allo stremo. Come si può definire tutto questo? Con quale categoria politica o militare si può giustificare una simile brutalità? La violenza è ormai diventata cieca. Ogni ombra è un nemico, ogni bambino può essere un sospetto. E chiunque osi denunciare l’assurdo viene accusato di stare “dall’altra parte”, come se opporsi ad Hamas giustificasse ogni crimine, ogni deragliamento morale.

Siamo onesti: discutere se si tratti o meno di genocidio sta diventando quasi sterile. I fatti parlano: migliaia di bambini sono stati uccisi da uno Stato che si definisce democratico, ma che ha smarrito la rotta, sprofondando in una spirale di violenza cieca, sanguinosa, ingiustificabile.

Dio – se ancora ci ascolta – chiederà conto del sangue innocente che viene versato. E forse, prima ancora di Dio, dovremmo essere noi a farlo.

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