Leone XIV: l’arte di unire mondi lontani

Nell’elezione di Robert Prevost, diventato Leone XIV, si rivela una scelta che sfugge agli schemi consueti: non un successore in continuità estetica con Francesco, ma un interprete profondo del suo spirito, capace di guidare la Chiesa in una nuova fase, fatta di equilibri complessi e di concretezza operativa. Lontano dall’immagine del “papa dirompente”, Leone XIV si presenta come un tessitore: di culture, di sensibilità, di istituzioni.

La sua biografia parla già un linguaggio universale. Nato negli Stati Uniti, ha trascorso quasi due decenni in Perù, diventando pastore tra le periferie urbane di Trujillo e poi guida nella diocesi di Chiclayo. È lì che si è formato non solo come sacerdote, ma come costruttore di comunità, affinando una sensibilità che fonde il calore dell’America Latina e il senso pratico del mondo anglosassone. Questo incrocio culturale non è un dato accessorio, ma la lente con cui leggere tutto il suo pontificato.

La sua visione è profondamente globale. Non si limita a portare l’esperienza del Sud nel cuore della Curia, ma si propone come cerniera tra le diverse anime della cattolicità contemporanea. La lunga esperienza da superiore generale degli Agostiniani, con presenza in oltre 50 Paesi, gli ha insegnato a parlare molte lingue: quelle della liturgia e della diplomazia, del confronto teologico e del discernimento pastorale.

Leone XIV non è uomo di proclami, ma di strutture. Da prefetto del Dicastero per i vescovi, ha agito come regolatore silenzioso dei nuovi equilibri ecclesiali: la scelta dei vescovi è passata, sotto la sua guida, attraverso filtri nuovi, legati alla sinodalità, all’opzione per i poveri, all’ascolto come metodo. Senza clamore, ma con una direzione chiara.

Ma la vera cifra del suo ministero è l’attenzione agli ultimi. Non come slogan, ma come stile di governo. Da vescovo di Chiclayo, ha privilegiato la presenza sul territorio, le visite nelle zone più isolate, i programmi sociali per l’infanzia. Anche nella Conferenza episcopale peruviana, dove ha ricoperto il ruolo di vicepresidente, ha mostrato una leadership dialogante e inclusiva, mai autoritaria.

Ora, la sfida che lo attende è trasformare la sua competenza tecnica in un linguaggio profetico. Se Francesco ha scelto spesso gesti spiazzanti per rivelare la misericordia di Dio, Leone XIV dovrà mostrare che la riforma può anche passare per la coerenza quotidiana, per il lavoro paziente di scardinare il clericalismo dall’interno, senza scorciatoie e senza illusioni.

Il suo pontificato potrebbe non sorprendere per le forme, ma per i risultati. In un tempo che chiede meno carisma e più capacità di costruire, Robert Prevost potrebbe essere proprio il papa che la Chiesa di oggi non sa di desiderare.

Pubblicato sul numero di maggio di Lodivecchio mese

Lascia un commento

I’m Marco

Benvenuti in questo mio piccolo spazio virtuale che vorrebbe offrire sosta e ospitalità a pensieri ed esperienze capaci di custodire il senso ed i sensi della vita

Let’s connect