L’appuntamento è fissato a mezzogiorno, al 1818 H Street NW di Washington DC, sede della Banca Mondiale. Approfitto della mia visita nella capitale statunitense per incontrare due vecchi amici lodigiani che da molti anni si sono trasferiti oltre oceano e lavorano per questa prestigiosa organizzazione internazionale. Raggiungo Pierangela Pedrazzini e Guy Kenvo davanti all’ingresso del centro visitatori della Banca Mondiale: durante la pausa pranzo dedicano a me e alla mia famiglia un po’ di tempo per raccontarci la loro interessante esperienza.
Sono passati tanti anni dall’ultima volta che ho visto Pierangela (Pier per gli amici): era il 2013, quando lei, insieme al marito Guy, lodigiano d’adozione, e ai loro tre figli, decideva di lasciare Lodivecchio per iniziare una nuova avventura negli Stati Uniti.
Ma per cogliere appieno il sapore di questa storia, che ha quasi il tono di una fiaba, conviene riavvolgere il nastro e partire dall’inizio. Guy aveva vent’anni quando decise di lasciare il Camerun: “In Camerun ho frequentato tutte le scuole fino alle superiori e il mio sogno era quello di diventare medico – ci racconta. Purtroppo non ci sono riuscito, nonostante diversi tentativi: in quegli anni in Camerun c’era una sola scuola di medicina, con il numero chiuso molto ristretto, solo 50 posti all’anno. Per entrare servivano spesso raccomandazioni oppure pagare mazzette. Dopo averci provato per un paio d’anni, ho deciso di emigrare. La Francia era la meta più naturale per molti camerunesi, ma il mio diploma avrebbe consentito l’accesso solo a facoltà scientifiche, non a ingegneria. In Italia invece ho scoperto di poter iscrivermi a ingegneria: così, anche se non conoscevo nessuno, ho scelto di partire per l’Italia, mentre molti miei amici andavano in Francia, Belgio o Germania. Ho fatto domanda e sono stato accettato al Politecnico di Milano. All’inizio ho avuto difficoltà a trovare alloggio a Milano, ma qualcuno mi ha parlato della Casa dell’Accoglienza di Lodi. È stato così che sono arrivato a Lodi, dove ho conosciuto Don Mario Ferrari, ideatore della struttura e, in seguito, del Collegio Vescovile per studenti internazionali. Quell’esperienza è stata fondamentale: l’accoglienza e il supporto della comunità sono stati essenziali. Ed è proprio a Lodi Vecchio che ho conosciuto Pierangela”.
Dopo la laurea, Guy diventa uno specialista nel mondo delle comunicazioni: “Ho maturato una buona esperienza nel campo delle videoconferenze, specializzandomi nelle tecnologie di comunicazione unificata. Mi occupavo proprio di sistemi di videoconferenza e tecnologie correlate”. Pierangela invece lavora presso l’Ufficio di Piano di Lodi. È a Lodivecchio che Pier e Guy si sposano, crescono e diventano genitori di tre figli: Patrick, Alex e Daniel.
Nel 2010, però, la loro vita prende una svolta inattesa. Racconta Guy: “A un certo punto, in Italia, ho deciso di mettermi in proprio, aprendo partita IVA e lavorando in modo indipendente. I primi due o tre anni sono andati bene, ma poi è arrivata la crisi che ha colpito l’Italia, e molte cose sono cambiate. Ho dovuto ripensare al mio futuro e cercare nuovamente lavoro. Parlando con mia sorella, lei mi ha chiesto: ‘Ma tu hai mai pensato a queste organizzazioni internazionali, come la Banca Mondiale?’ All’epoca non avevo mai considerato l’idea di cercare lavoro all’estero, tantomeno negli Stati Uniti. Ma dopo quella conversazione, mi sono informato e ho trovato una posizione aperta che sembrava fatta su misura per me”.
Dopo aver inviato la candidatura e superato i colloqui di rito, la famiglia Kenvo si ritrova catapultata oltre oceano, pronta per iniziare una nuova fase della loro vita. “Devo dire che l’inserimento non è stato traumatico, anche grazie all’appoggio della Banca Mondiale, che offre un’ottima struttura di supporto per chi si trasferisce dall’estero, soprattutto dal punto di vista logistico e delle informazioni. Inoltre, devo ringraziare Pier che, in quel momento, si è dedicata completamente ad aiutare i figli ad ambientarsi, mentre io ho potuto concentrarmi sul lavoro e sull’inserimento professionale. L’impatto iniziale, soprattutto dal punto di vista linguistico, è stato più difficile del previsto: ho realizzato che il mio inglese non era sufficiente per vivere e lavorare qui, ma col tempo ci si abitua. Per quanto riguarda i nostri figli, spesso siamo noi genitori a preoccuparci più del necessario. In realtà, i ragazzi hanno una straordinaria capacità di adattarsi ai nuovi ambienti, specialmente da giovani. Le scuole americane sono ben organizzate per accogliere studenti stranieri, con percorsi specifici per chi non parla inglese ma sempre inclusivi: i nostri figli si sono sentiti subito parte della classe. Mi ricordo che, prima di partire, molti erano scioccati dalla scelta di iscrivere i nostri figli nella scuola pubblica americana invece che in una scuola internazionale o italiana. Per noi non era nemmeno un’opzione: dopo sei mesi i ragazzi già parlavano inglese, con una rapidità impressionante”.
Il destino vuole che anche Pier trovi poi lavoro alla Banca Mondiale. Racconta: “Dopo un anno passato a casa per seguire l’inserimento dei figli, avevo comunque il desiderio di tornare a lavorare. Pensavo di lavorare nel turismo, avevo trovato un’agenzia gestita da un italiano specializzata in viaggi in Italia. Avevo fatto il colloquio e l’affiancamento, sembrava tutto pronto, ma il contratto ufficiale non è mai arrivato. Quasi per caso, ho trovato sulla intranet della Banca Mondiale una posizione aperta da Budget Analyst. All’inizio ero titubante, ma Guy mi ha incoraggiato e così mi sono candidata. Dopo il colloquio, sono stata assunta come consulente, e da allora ogni anno mi rinnovano il contratto. Sono ormai dieci anni e mezzo che lavoro qui, in diversi dipartimenti e su vari progetti”.
Anche i figli si sono perfettamente inseriti nel loro nuovo Paese. Dice Pierangela: “Quando ci siamo trasferiti, il più piccolo aveva sette anni, il secondo nove, il più grande dieci. Ora sono tutti e tre all’università: uno si è già laureato nel 2023, il secondo ha concluso un percorso simile a una laurea breve e ora completerà gli studi in un’altra università, mentre il terzo ha iniziato l’università l’anno scorso e finirà tra due anni, grazie ai crediti già acquisiti. Negli Stati Uniti, infatti, le scuole superiori offrono diversi livelli di difficoltà per ogni materia: base, Honor e Advanced Placement (AP), quest’ultimo permette di accumulare crediti validi anche per l’università. I nostri figli hanno sfruttato questi corsi avanzati e, di fatto, hanno finito le superiori in tre anni invece che in quattro, avendo molti crediti riconosciuti”.
La vita della famiglia Kenvo non si limita solo al lavoro e alla famiglia: negli anni hanno saputo costruirsi un proprio spazio nella società americana. “Una parte importante della nostra vita sociale ruota attorno alla chiesa, che frequentiamo da quando siamo arrivati, ormai da undici anni. I nostri figli sono cresciuti lì e attraverso la comunità abbiamo costruito un solido gruppo di amici, una vera seconda famiglia. Ci incontriamo anche al di fuori delle funzioni religiose: condividiamo gioie e difficoltà, e per noi questa rete di amicizie è stata fondamentale, perché non sempre è facile creare rapporti profondi negli Stati Uniti. Nella nostra comunità ci sono sia americani che persone provenienti da tutto il mondo: il punto di partenza è la fede, ma da lì sono nate vere amicizie”.
Quando chiedo loro del futuro, il tono si fa più incerto: “È una domanda difficile – mi confidano – perché ci sono tanti aspetti da considerare. Stiamo bene qui, siamo felici e in salute, e ci piacerebbe restare. Allo stesso tempo ci chiediamo cosa accadrà quando i nostri figli andranno a vivere in posti diversi: magari uno a San Francisco, uno a Miami, un altro altrove. Ha senso restare qui se comunque loro saranno lontani? Magari avrebbe più senso tornare in Italia e andare a trovarli di tanto in tanto… Sono domande che ci poniamo spesso, ma per il momento preferiamo vivere il presente e vedere come andranno le cose”.
Chiudiamo il nostro incontro con un ricordo a cui Guy tiene molto: “Quando vivevo alla Casa dell’Accoglienza, per pagare la retta mi è capitato di fare le pulizie al ‘Cittadino’ alle sei del mattino, prima di prendere il treno per andare al Politecnico. È una storia di cui vado molto fiero”. Se non fosse vera, la vicenda di Guy e della sua famiglia sarebbe la trama perfetta per una favola moderna: una storia che inizia alla Casa dell’Accoglienza di Lodi e conduce fino a Washington, nel cuore della Banca Mondiale.
intervista pubblicata su il Cittadino del 14 giugno 2025









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