Un tempo, guardando il cielo, gli uomini cercavano risposte.
Nelle stelle leggevano destini. Nella terra, il ritmo della vita.
Ogni stagione portava un messaggio, ogni tramonto una domanda.
Poi sono venuti i filosofi, i profeti, gli scienziati.
Abbiamo nominato il mondo, sezionato i perché, illuminato le ombre.
Ma sempre – sempre – abbiamo cercato un senso:
una ragione per vivere, per lottare, per amare anche quando fa male.
L’uomo ha bisogno di un orizzonte in cui iscrivere la propria vita.
Che sia Dio, la Natura o la Ragione,
qualcosa che dica: “Tu sei parte di un disegno, e non sei solo.”
Oggi però siamo entrati in un’epoca diversa.
Silenziosa, lucida, efficiente.
L’epoca della Tecnica.
Non chiede più “perché?”, non si interroga sul bene o sul male.
Chiede solo: funziona?
La tecnica non consola.
Non accoglie il dolore, non sa cosa farsene dell’amore che non produce,
dell’amicizia che traballa, del gesto gratuito.
Vuole risultati. Ottimizzazione. Prestazione.
Anche noi, piano piano, ci siamo abituati.
Abbiamo imparato a guardare le cose – e le persone –
con lo sguardo freddo dell’utilità.
Questa relazione funziona?
Questo lavoro rende?
Questo figlio è all’altezza?
Funziono io?
Ma la vita non funziona.
La vita accade.
È inciampo, sorpresa, attesa.
È fedeltà anche quando non conviene.
È stare, anche quando tutto direbbe di fuggire.
Abbiamo bisogno di tornare a chiederci perché,
non solo come.
A domandare valore, non solo efficacia.
A riscoprire che ciò che non serve a nulla –
una carezza, una poesia, una lacrima –
è forse ciò che più ci salva.
Il senso non grida.
Il senso sussurra.
E forse, se smettiamo per un attimo di funzionare,
possiamo ancora ascoltarlo.
se ti interessa, leggi la versione giornalistica di questo testo pubblicata su il Cittadino del 21 luglio 2025 (QUI)









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