Viviamo in una società che somiglia sempre più a un palcoscenico: ogni giorno ci ritroviamo attori inconsapevoli di una rappresentazione ininterrotta. Richard Sennett, sociologo, critico letterario e scrittore statunitense , con il suo sguardo lucido e implacabile, ci invita ad andare oltre la superficie scintillante della vita pubblica, per cogliere come il bisogno di apparire abbia ormai superato quello di essere.
È sufficiente osservare una qualsiasi piazza, reale o virtuale, per notare come il “pubblico” sia diventato una scena: non più luogo di autentico incontro, ma contesto in cui recitiamo una parte assegnata, spesso più attenti allo sguardo degli altri che alle nostre stesse emozioni. La spontaneità – quella scintilla che dà vita alle relazioni – si spegne sotto il peso delle aspettative, delle convenzioni e del giudizio continuo. La vita pubblica, così, smette di essere uno spazio di partecipazione e diventa una vetrina: l’essere si ritira, mentre l’apparire conquista la ribalta.
Fin da bambini impariamo “come si sta al mondo”: apprendiamo ruoli, seguiamo copioni, modelliamo espressioni e toni per piacere, per convincere, per essere accettati. La società non ci chiede più autenticità, ma di essere all’altezza del personaggio che gli altri si aspettano da noi. Così, le identità diventano fluide e intercambiabili, ma spesso si svuotano di sostanza.
Questo meccanismo non risparmia nemmeno la vita politica – anzi, è proprio qui che la spettacolarizzazione mostra i suoi effetti più evidenti e pericolosi. La politica si trasforma in una rappresentazione permanente, dove leader e partiti recitano ruoli studiati per attrarre attenzione, sedurre l’elettorato, polarizzare le opinioni. Gli ideali sbiadiscono di fronte alla necessità di apparire convincenti, nella costante ricerca di consenso facile che sacrifica riflessione e complessità.
Sotto il peso dei riflettori, il dibattito politico si appiattisce sull’immediatezza emotiva, sulla battuta ad effetto e sulla semplificazione estrema. Il valore delle idee viene schiacciato dall’efficacia della performance: non conta più cosa si dice, ma come lo si dice e quanto clamore si riesce a suscitare nei media e sui social. La narrazione prevale sull’argomentazione, la polemica spettacolare sostituisce il confronto autentico.
La relazione fra cittadini e istituzioni si riduce spesso a una questione di audience, con politici che rincorrono mode e trend del momento. La ricerca del consenso si trasforma in una gara di popolarità, svuotando la politica di quella funzione progettuale e collettiva che le sarebbe propria.
Sennett illumina queste derive: la società del palcoscenico non mette solo in dubbio la nostra autenticità personale, ma minaccia anche la qualità stessa della democrazia. Ci mette in guardia di fronte a questo paradosso: il trionfo della rappresentazione rischia di impoverire la nostra umanità più genuina. La sfida, oggi, è proprio quella di riscoprire la spontaneità, riappropriarci della profondità e del coraggio di essere davvero noi stessi – anche, e soprattutto, lontano dai riflettori. Solo così potremo invertire la rotta di questo individualismo performativo e tornare a costruire una comunità capace di autenticità, ascolto e presenza reale. Perché, forse, possiamo ancora scegliere se essere semplici attori su un copione scritto da altri, o veri protagonisti della nostra umanità.
pubblicato su il Cittadino del 29 luglio 2025









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