i bambini “invisibili”

L’episodio accaduto a Milano – quattro minorenni che, alla guida di un’auto rubata, hanno travolto e ucciso una donna che stava camminando – ha lasciato la città e il Paese sotto shock. Di fronte a una tragedia simile, la reazione immediata è quella di invocare giustizia, di chiedere che i responsabili paghino per il male che hanno causato. È un sentimento comprensibile, soprattutto se pensiamo al dolore della famiglia della vittima. E tuttavia, non possiamo dimenticare un dato essenziale: stiamo parlando di bambini tra gli 11 ed i 13 anni. Bambini, non adulti.

Questo non significa giustificarli né negare la gravità delle loro azioni. Anzi, proprio perché sono così giovani, è necessario che comprendano fino in fondo il significato delle proprie scelte e, per quanto compatibile con la loro età, ne sopportino le conseguenze. Ma la risposta non può ridursi alla punizione: deve essere educativa e riabilitativa. È urgente restituire loro il senso della responsabilità, quella capacità di distinguere la libertà dal libero arbitrio cieco, l’impulso dall’azione consapevole. E qui emerge il primo nodo: probabilmente questo insegnamento non lo hanno ricevuto dalle loro famiglie, non lo hanno respirato nei contesti in cui sono cresciuti.

Mi piacerebbe che provassimo a guardare all’accaduto da un punto di vista differente, facendoci una semplice domanda: com’è possibile che questi ragazzi siano diventati visibili soltanto ora, dopo aver commesso un crimine irreparabile? È accettabile che un bambino di dodici anni entri nel radar collettivo soltanto quando guida un’auto rubata e uccide una donna? Fino a quel momento dov’era la comunità adulta che avrebbe dovuto vigilare, accompagnare, sostenere? Quanti altri bambini vivono quotidianamente nelle nostre città e nei nostri quartieri in condizioni di marginalità estrema, confinati in case fatiscenti, senza reti educative solide, invisibili agli occhi delle istituzioni, della scuola, dei servizi sociali?

Ci indigniamo – e facciamo bene – di fronte ai bambini che in altre parti del mondo vengono sfruttati, mandati a lavorare o arruolati come soldati. Ma non ci indigniamo con la stessa forza quando, nel nostro stesso Paese, ci sono minori privati del diritto a crescere in un contesto che li protegga e li faccia maturare. Non è forse un’altra forma, più silenziosa ma non meno grave, di negazione dell’infanzia? Bambini che non trovano un adulto credibile cui affidarsi, una scuola capace di motivarli, un servizio sociale che li intercetti prima che si perdano.

La loro invisibilità non è un destino inevitabile: è il risultato di una somma di omissioni. Ogni volta che una scuola si limita a constatare un’assenza cronica senza cercare di capire, ogni volta che un servizio sociale si arrende di fronte alla complessità di un caso familiare, ogni volta che la politica abdica al proprio ruolo nell’indicare una convivenza giusta e solidale, ogni volta che una comunità tollera il degrado pensando che riguardi solo “gli altri”, contribuiamo a costruire questa invisibilità. E quando questi bambini riemergono all’attenzione pubblica, spesso è troppo tardi: li ritroviamo protagonisti di episodi di violenza, non come vittime di un disagio che non abbiamo saputo ascoltare, ma come colpevoli.

La sicurezza delle nostre città non si costruisce con barriere o dinamiche di espulsione, ma con processi seri di educazione e di integrazione. Se questi ragazzi fossero stati seguiti, riconosciuti, sostenuti, forse oggi non piangeremmo una vittima innocente.

Per questo il compito del mondo adulto non è solo quello di chiedere pene esemplari, ma di rimettere al centro delle politiche pubbliche e sociali la capacità di prendersi cura dei propri figli, anche – e soprattutto – di quelli più difficili, più fragili, più problematici. La vera giustizia, oltre a punire, deve prevenire: dare a questi ragazzi la possibilità di diventare visibili prima che sia troppo tardi, inserirli in percorsi di crescita e di educazione che restituiscano loro dignità e futuro.

La tragedia di Milano non riguarda soltanto quattro bambini e una vittima innocente: riguarda noi tutti, la nostra capacità di essere una comunità capace di proteggere, educare, integrare. Perché la sicurezza non nasce dall’abbandono e dall’indifferenza, ma dalla cura.

pubblicato su il Cittadino del 19 agosto 2025

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