Le prime gocce hanno iniziato a cadere appena scesi dall’auto… una corsa veloce per ripararci in chiesa prima che l’acquazzone si scatenasse, intenso e persistente. Durante tutta la celebrazione il fragore della pioggia sul sagrato ci ha accompagnati, a tratti così vigoroso da coprire le parole pronunciate all’interno. Era un rumore continuo, avvolgente, ritmico: un battito che invadeva lo spazio e il tempo, intrecciandosi con ciò che accadeva dentro.
Eppure, pur non raggiungendo fisicamente la piccola comunità raccolta in preghiera, quella pioggia generosa è diventata come una colonna sonora: una melodia di fondo che ha dato ritmo e profondità alla liturgia di questa fredda domenica di fine agosto. Non un disturbo, non un’interferenza: piuttosto un accompagnamento discreto, un contrappunto vitale, quasi una base musicale da cui la celebrazione traeva slancio e vigore.
Quel tintinnare insistente delle gocce sembrava volerci ricordare che sulla terra esiste una sete che solo un gesto gratuito del Cielo può colmare; che c’è una fame capace di essere saziata solo da un dono eccedente, traboccante, che non nasce dalle nostre mani ma dall’Alto: grazia, favore, gratuità, tesoro regalato.
È strano celebrare “sotto al pioggia”, sotto il suono incalzante dell’acqua che tocca il suolo, dentro quell’atmosfera ovattata che si crea quando l’acquazzone avvolge ogni cosa e ogni pensiero. Il dentro ed il fuori si uniscono nel testimoniare un travaso di Grazia che le nostre mani non sono in grado di contenere.









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