piccole note a margine della canonizzazione di Carlo Acutis

Nessuno può mettere in dubbio la bellezza e la profondità della fede che ha portato Carlo Acutis agli onori degli altari. La sua vita breve, intensa, donata a Dio, resta una testimonianza luminosa.

Eppure, se passo dal piano dell’identità (chi è stato Carlo) a quello della rappresentazione pubblica (come viene proposto oggi), confesso che mi restano dei dubbi. Due, in particolare.

Il primo riguarda il rischio di una fede connotata in chiave troppo “miracolistica”. Carlo, a 14 anni, era affascinato dai miracoli eucaristici: comprensibile, data l’età. Ma quando questo suo interesse diventa il tratto principale con cui viene raccontata la sua santità, temo che si rischi di proporre un modello di fede un po’ infantile, troppo centrato sul prodigioso e sul mirabolante. E’ vero che la santità non riguarda la perfezione della fede ma la possibilità di vivere la propria vita al massimo delle proprie potenzialità. Tuttavia non credo che l’eucaristia, cuore della fede cristiana, trovi la sua più matura ed evangelica accoglienza e celebrazione nel sottolinearne gli aspetti straordinari. Essa attiene alla presenza sacramentale e rituale del Signore tra i suoi, più che alla testimonianza di fenomeni sovrannaturali ed eclatanti.

Il secondo punto riguarda la presentazione di Carlo come modello per i giovani di oggi. Basta leggere i testi ufficiali: in alcuni tratti Carlo sembra più un’immaginetta dell’Ottocento che un ragazzo del terzo millennio. Usava internet, sì, ma questo non basta per renderlo “moderno”. Il suo linguaggio e la sua spiritualità – almeno per come ci vengono trasmessi – non risuonano con la sensibilità di molti giovani del 2025. Prendiamo la frase scelta dal Dicastero per le Cause dei Santi come sintesi della sua vita: «Offro tutte le sofferenze che dovrò patire al Signore, per il Papa e per la Chiesa, per non fare il Purgatorio e andare dritto in Paradiso». Magari mi sbaglio ma, pur non dubitando della sincerità di Carlo, fatico a riconoscere queste parole sulla bocca di un ragazzo del terzo millennio. Dietro queste parole c’è certamente un desiderio autentico di vita piena (e nel quale si può ritrovare ogni giovane di qualunque epoca), ma la forma espressiva conta e non è mai irrilevante rispetto al contenuto.

Il rischio, temo, è quello di aver creato un personaggio da controriforma, un santino patinato che forse piace a qualche Monsignore, ma difficilmente parla davvero ai giovani di oggi. La mia perplessità non riguarda la bellezza e l’eroicità della vita di Carlo, ma la scelta di proporlo come un modello “fuori dal tempo”, enfatizzando tratti tradizionalistici e devozionali che rischiano di trasformare un testimone vero in una caricatura di santità.

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