l’omicidio Kirk e le fazioni in guerra

L’aspetto più inquietante dell’uccisione di Charlie Kirk, noto influencer e attivista conservatore, non è soltanto la brutalità del gesto, consumato nello Utah davanti a migliaia di persone durante un evento universitario. Ciò che colpisce è anche il modo in cui la discussione pubblica che ne è seguita si è trasformata in un terreno di scontro esasperato, incapace di elaborare il lutto senza precipitare nell’ennesima guerra di fazioni.

Che un episodio così drammatico generi emozioni forti è comprensibile. Ma la rapidità con cui il confronto si è ridotto a un’arena di insulti e semplificazioni racconta bene il clima che oggi attraversa le nostre società. Anche in Italia la dinamica è stata la stessa: una rincorsa a estremizzare le posizioni, a ridurre tutto a un sì o a un no, a schierarsi senza esitazioni. Il grigio sparisce, le sfumature si annullano, resta soltanto una contrapposizione binaria e rabbiosa.

Questo è forse il sintomo più grave: la crescente difficoltà a custodire uno spazio di dialogo in cui il dissenso non diventi immediatamente ostilità, in cui la complessità non venga compressa in uno slogan, in cui la realtà non debba piegarsi alle logiche da stadio. Più che a un dibattito, assistiamo a un rito identitario: ciascuno deve dichiarare se sta “con” o “contro”, senza possibilità di sostare in mezzo, senza curiosità né disponibilità ad ascoltare.

I social media, con le loro regole invisibili ma potentissime, sono l’ambiente ideale per queste dinamiche. La ricerca del like, la spinta alla viralità, la visibilità legata al conflitto esasperato: tutto congiura per privilegiare la semplificazione e il tifo, a scapito dell’analisi e del ragionamento. Così ogni evento viene appiattito sullo schema dello scontro tra tifoserie: da una parte chi demonizza Kirk in blocco, dall’altra chi lo trasforma in un simbolo, in un eroe, in un martire. In entrambi i casi la complessità del personaggio – e del contesto culturale che lo circondava – viene liquidata.

Eppure, la vicenda Kirk non dovrebbe essere ridotta a un caso di cronaca nera né a un’occasione di propaganda. È un campanello d’allarme: mostra come il nostro sistema comunicativo abbia smarrito il gusto della sfumatura, la pazienza del ragionamento, il senso di responsabilità delle parole. Abbiamo perso la capacità di distinguere la critica dall’odio, il dissenso dalla delegittimazione, la discussione dal conflitto totale.

Il vero pericolo, allora, non risiede soltanto nelle posizioni radicali che figure come Kirk esprimevano. Sta piuttosto nella nostra incapacità crescente di ascoltare senza reagire in modo viscerale, di riflettere senza gridare, di contestare senza trasformare l’altro in un nemico. Se non recuperiamo questa capacità, rischiamo che ogni evento, ogni tragedia, diventi soltanto l’occasione per riaffermare la logica del muro contro muro. E a quel punto, più che un singolo influencer, ad andare perduta sarebbe la possibilità stessa di vivere in una società pluralista e capace di confronto.

pubblicato su il Cittadino del 16 settembre 2025

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