Sapete come funziona: basta soffermarsi qualche secondo su un reel di Facebook o di un altro social, e subito vieni travolto da un’infinità di video simili, che ti catapultano in un loop da cui è difficile uscire. È quello che mi è capitato dopo aver ascoltato, più del dovuto, un discorso di Charlie Kirk. Da lì in poi, i miei feed si sono riempiti delle sue apparizioni: un carosello infinito di interventi e dibattiti.
Ciò che mi ha colpito, però, non è stato tanto il contenuto – con il quale, devo ammetterlo, faccio davvero fatica a trovare un punto di contatto – ma lo stile. Le idee di Kirk sono un intreccio di integralismo cristiano, letture radicali dei testi sacri, visioni settarie e nazionaliste: un mix che non mi appartiene. Ma ancora più distante dalla mia sensibilità è il tono, quel modo arrogante e presuntuoso di rivolgersi agli altri, quel piglio altezzoso, quasi violento, con cui cerca di imporsi.
Il confronto non appare mai alla pari: il suo è un discorso apologetico, spesso aggressivo, che facilmente scivola nella derisione e nella prevaricazione. L’interlocutore non è un compagno di dialogo, ma un bersaglio: qualcuno da convincere, convertire, istruire dall’alto della propria “verità”. E quando questo non riesce, resta la via dell’ironia tagliente o dello screditamento. È la postura di chi si percepisce come unico depositario di una parola definitiva sul senso delle cose.
Non è un caso isolato. È lo stile tipico di coloro che confondono la verità con le proprie certezze, la realtà con il proprio punto di vista, la complessità delle cose con le proprie piccole e meschine opinioni. Così, la “verità” diventa un’arma da brandire contro chi dissente; le proprie convinzioni, fortezze da cui lanciare attacchi contro i “nemici”. In questo schema, il mondo non è mai interlocutore ma avversario: colpevole di non riconoscere l’unica verità possibile, la propria.
Eppure, non è paradossale pensare di testimoniare l’amore di Dio con violenza, presunzione e arroganza? Non è contraddittorio avvicinare il fratello come fosse una preda da conquistare, anziché una persona da incontrare?
Per un cristiano, la Verità non è una dottrina da difendere con le unghie, ma una Persona da incontrare. La Verità è sempre qualcosa che ci supera, che non possiamo ridurre ai nostri schemi, che non si lascia intrappolare in formule o slogan. La verità non è mai proprietà privata, ma si rivela in un contesto di dialogo, relazione, apertura. Non ha nulla di esclusivo, escludente o di violento.
“Prove me wrong” – “provami che ho torto” – è il format con cui Kirk si presenta agli studenti nei campus. Sembra intrigante, ma contiene un presupposto pericoloso: chi parla è già certo di essere nel giusto, e concede all’altro soltanto il lusso di tentare di incrinare, senza mai davvero scalfire, quella certezza granitica.









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