Confesso di aver provato una certa consolazione nel vedere, questa sera ai telegiornali, migliaia e migliaia di persone scese in piazza, spesso sotto una pioggia torrenziale, per esprimere solidarietà alla popolazione di Gaza.
Non parlo di quel branco di imbecilli per i quali ogni occasione è buona per atti violenti. Parlo delle migliaia di giovani, delle famiglie con figli, talvolta anche molto piccoli, che hanno sfilato pacificamente per le vie di tantissime città. Parlo dei loro volti pacifici ma preoccupati per ciò che sta accadendo a pochi chilometri da casa nostra, delle parole commosse e solidali rivolte a chi sta attraversando giornate terribili, di quella solidarietà schietta, non retorica, semplice, che è tipica di chi vuole esprimere vicinanza e compassione a un altro essere umano.
Mi sono sentito confortato da quelle immagini perché mi hanno fatto sentire meno solo, meno “strano”, meno isolato, ma in compagnia di tanta gente che prova, come me, repulsione per ciò che sta accadendo, vergogna per quello che, come Occidente, non stiamo facendo, e tanta umana solidarietà verso donne e uomini come me che stanno vivendo questa tragedia.
È stata una giornata di grande partecipazione e consapevolezza collettiva, un atto di memoria e risveglio, un presidio morale ed umano di fronte alla disumanità e alla violenza che avanzano. È stato bello vedere tante coscienze che hanno detto no, che hanno espresso dissenso, la loro ribellione, il loro dire «noi non ci stiamo».
La mia paura maggiore, osservando anche quanto accade oltre oceano, non è tanto e non solo la violenza che avanza, ma il silenzio di chi assiste pavido agli avvenimenti, la rassegnazione dei molti, la vigliaccheria e l’indifferenza di tanta gente, che si volta dall’altra parte. Mi spaventano le coscienze che si addormentano, che non restano vigili e sveglie di fronte al male che avanza, che sono sopite ed annebbiate nella retorica dell’aggressività.
Forse ha ragione la presidente Meloni quando afferma che le persone in piazza oggi non cambieranno una virgola di ciò che accade a Gaza. Ma lo scopo di tali eventi non è cambiare la storia, bensì cambiare noi stessi.
Si scende in piazza per restare uomini, per non disperdere quella briciola di coscienza civile che ci è rimasta. Si scende in piazza, fisicamente o idealmente, per ritrovarci come comunità umana, per dirci ancora una volta i valori in cui crediamo e il futuro che vogliamo. Si lotta innanzitutto per noi stessi, per restare all’altezza della nostra vocazione umana.









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