La bicicletta e lo smartphone

Nel 1973 Ivan Illich, filosofo e pensatore radicale, pubblicò “Energy and Equity”, un libro destinato a lasciare un segno nella riflessione sul rapporto tra tecnologia, società e libertà. In quelle pagine, che oggi possono apparire profetiche, Illich elabora una critica profonda alla modernità, introducendo la nozione di “tecnologie conviviali”: strumenti che servono l’uomo senza dominarlo, che favoriscono autonomia e relazioni, invece di imporre dipendenza, consumo e omologazione.

Tra i simboli scelti da Illich per illustrare questa idea c’è la bicicletta. Per lui la bici rappresenta un modello virtuoso di tecnologia: semplice, accessibile, poco costosa, capace di ampliare la libertà di movimento senza trasformare lo spazio e il tempo collettivo in una gabbia.

Al contrario, l’automobile diventa per Illich l’emblema di un apparato che riorganizza la società intorno a sé, generando congestione, consumismo e velocità innaturali. Non è soltanto un mezzo di trasporto: è un dispositivo che condiziona l’intero assetto urbano, economico e culturale.

Un passaggio particolarmente illuminante del ragionamento di Illich riguarda il rapporto tra velocità e tempo. Siamo abituati a pensare che un mezzo si giudichi dalla velocità massima, dalla capacità di ridurre la durata del viaggio. Ma Illich ribalta la prospettiva: il criterio vero è la “velocità effettiva”, ovvero il rapporto tra lo spazio percorso e il tempo complessivo speso per farlo, includendo non solo le ore del tragitto, ma anche quelle necessarie a guadagnare il denaro per acquistare, mantenere e alimentare quel mezzo. Se calcoliamo così, la bicicletta vince sull’automobile: non richiede investimenti sproporzionati, non impone manutenzione complessa, non obbliga a ore di lavoro extra per sostenere i costi. Alla fine, dice Illich, la bici restituisce tempo.

Questa riflessione, nata oltre cinquant’anni fa, appare oggi straordinariamente attuale se applicata al mondo delle nuove tecnologie. Anche qui la promessa è di rapidità e di efficienza: comunicazioni istantanee, risposte in tempo reale, accesso immediato a informazioni e servizi. Ma se allarghiamo lo sguardo, ci accorgiamo che la velocità apparente nasconde un paradosso. Lo smartphone, i social, la connessione perenne riducono i tempi tecnici dello scambio, ma finiscono per assorbire una quantità enorme del nostro tempo di vita. Ore spese a controllare notifiche, a rispondere compulsivamente a messaggi, a navigare in un flusso continuo che non conosce soste.

È lo stesso paradosso denunciato da Illich per l’automobile: ciò che sembra farci guadagnare tempo in realtà ce ne sottrae molto di più. Le tecnologie digitali, come l’auto, plasmano il nostro spazio e il nostro tempo intorno a sé, creando dipendenze difficili da spezzare. L’illusione di essere più veloci si accompagna spesso alla perdita di autonomia, alla sensazione di non avere più un tempo libero, ma solo tempo “connesso”.

Forse, allora, vale la pena recuperare la lezione della bicicletta. Non nel senso letterale, ma come paradigma: una tecnologia conviviale non è quella che promette prestazioni massime, ma quella che restituisce tempo, che allarga la libertà invece di contrarla. La sfida di oggi, davanti alla potenza pervasiva delle tecnologie digitali, è tutta qui: chiederci se gli strumenti che usiamo ci aiutano davvero a vivere meglio o se, sotto la maschera della velocità, ci stanno lentamente derubando della nostra risorsa più preziosa.

pubblicato su il Cittadino del 23 settembre 2025. QUI sulla versione online

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