il mondo in una foto

I numeri della sedicesima edizione del Festival della Fotografia Etica parlano da sé: cinque weekend di apertura, 22 mostre sparse in 8 sedi tra la città di Lodi e Montanaso, oltre 300 volontari impegnati (molti studenti delle classi superiori), un traguardo provvisorio di 29 mila visitatori con oltre 5 mila studenti che nelle mattine di ottobre hanno varcato le soglie delle esposizioni insieme alle loro classi. Quasi novanta mostre del circuito off, disseminate negli spazi pubblici del territorio, hanno portato la fotografia sempre più vicino alla quotidianità delle persone. Un’impresa culturale poderosa, capace di trasformare Lodi, per un mese intero, nella capitale italiana, e per molti versi internazionale, della fotografia.

Tuttavia, chi ha avuto la fortuna di visitare queste mostre comprende che la forza del festival non risiede soltanto nell’imponenza dei numeri e nelle migliaia di fotografie esposte, bensì nel viaggio straordinario, culturale, sociale e interiore, che ci ha invitato a compiere attraverso gli innumerevoli scatti. Due aspetti meritano particolare attenzione.

Anzitutto, il festival ci ha offerto la possibilità di posare lo sguardo, e con esso la nostra attenzione, su moltissime storie dimenticate, racconti emarginati dai circuiti principali di informazione eppure determinanti nel segnare il nostro presente e nel disegnare il mondo in cui viviamo. Storie lontane, spesso dolorose e drammatiche; narrazioni talvolta dolci, talvolta crude e laceranti, che arrivano come un pugno nello stomaco.

Eppure sono storie vere, reali, mai patinate, mai edulcorate. Storie di uomini e donne che lottano, sperano, combattono per un’esistenza migliore, che affrontano con dignità e coraggio i drammi di questo pianeta. Il festival ci racconta di mondi altri, di situazioni di cui nessuno parla, che appellano la nostra coscienza, che interpellano la nostra responsabilità civile e invocano una risposta politica nel senso più alto e più ampio del termine.

Non si tratta di compassione superficiale o di turismo pietistico. È una chiamata più profonda, un invito a riconoscere l’altro non come oggetto di beneficenza ma come soggetto portatore di una dignità che merita ascolto. Le immagini esposte nelle sale del festival non permettono distacco. Guardano in faccia l’osservatore e chiedono conto della sua indifferenza, della sua connivenza, della sua complicità con un sistema che produce diseguaglianza e dolore.

Il secondo grande regalo che il festival ci ha consegnato consiste nella concretezza dei volti, nella fisicità dei corpi, nella realtà tangibile degli sguardi. I grandi drammi dell’umanità non diventano oggetto di studio teorico, di analisi astratta e asettica, bensì vengono narrati attraverso i volti concreti delle persone, le vite segnate di uomini e donne in carne e ossa.

Non vi è alcun concetto metafisico, alcun approccio intellettualistico disincarnato. C’è la cruda e vera realtà dei corpi che la macchina fotografica ha saputo catturare, custodire e consegnare. La povertà non è un’idea sociologica astratta, la guerra non diviene un concetto politico da manuale, la malattia non rimane un problema medico-scientifico. Ciascuna di queste realtà viene raccontata attraverso la pelle, la carne, lo sguardo di uomini e donne concrete, che abitano uno spazio e un tempo ben precisi, in una geografia precisa, con nomi precisi.

Questo recupero della fisicità è radicale. In un’epoca in cui i numeri ci sommergono (statistiche di migranti, cifre di morti in guerra, dati epidemiologici) la fotografia etica riporta tutto a scala umana. Una bambina con gli occhi stanchi vale più di mille cifre sulla fame nel mondo. Un volto segnato dalla sofferenza comunica verità che nessun rapporto sociologico potrebbe mai restituire con altrettanta forza.

Forse è proprio questa la forza più peculiare della fotografia: la capacità di educare il nostro sguardo a guardare le cose negli occhi, senza pudore, senza paura, senza sovrastrutture concettuali. La fotografia ci offre la fisicità dei corpi non come ornamento estetico ma come veicolo di verità.

In un tempo in cui l’immagine spesso è consumo rapido e distrazione, il Festival della Fotografia Etica ci restituisce la fotografia come luogo di responsabilità, di pensiero, di incontro. E ci ricorda che il vedere, quando è autentico, diventa il primo passo verso il comprendere. E forse, un giorno, anche verso il cambiare.

pubblicato su il Cittadino del 28 ottobre 2025.

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