don Alberto, i medici di Modena ed il valore della fiducia

Ci sono due eventi che, pur così diversi tra loro, mi hanno colpito perché sembrano muoversi da uno stesso principio fondante: la fiducia. La fiducia tra le persone, tra cittadini e istituzioni, tra chi guida e chi è guidato. Una fiducia necessaria, preziosa, ma allo stesso tempo fragile.

Il primo episodio riguarda una decisione dell’AUSL di Modena, condivisa con il sindacato dei medici di famiglia: la comune decisione è stata di stabilire un incentivo economico ai medici di base nel 2025. Se il numero di esami e visite specialistiche resterà entro soglie predefinite, scatterà infatti un bonus di 1,20 euro per assistito, per un totale di circa 1800 euro a medico all’anno. L’obiettivo dichiarato è quello di premiare la “proprietà diagnostica” e ridurre le prescrizioni superflue. Tuttavia, il dibattito che si è acceso va ben oltre i conti della sanità pubblica e tocca il cuore stesso della relazione medico–paziente. Perché sorge spontanea una domanda: quale fiducia si può instaurare se il paziente percepisce che il proprio medico potrebbe avere un incentivo a non prescrivere esami o terapie? L’etica medica non si gioca solo sulla razionalizzazione delle risorse, ma su un patto di credibilità: sulla certezza che il medico voglia e possa proporre ciò che è meglio per la salute del paziente, senza ombre né sospetti.

Il secondo evento appartiene a un contesto completamente diverso, ma ci guida verso la stessa riflessione. In un video circolato sui social, un noto sacerdote, nonché influencer molto seguito, durante una sua diretta, ha pubblicizzato una marca di integratori generalmente usati da chi fa sport. Le intenzioni del protagonista sarebbero state quelle di raccogliere fondi destinati alle sue numerose attività di evangelizzazione fatte sui social. Anche qui la domanda rimane aperta: quella pubblicità non rischia di interferire con la credibilità del messaggio che si vuole annunciare? Chi ascolta non rischia di dubitare che la “parzialità” usata per promuovere il prodotto possa estendersi anche oltre lo stesso?  Quando chi parla a nome di una comunità introduce elementi di interesse economico, anche se legittimi, si rischia di creare un cortocircuito nella percezione del pubblico. L’annuncio religioso, come la cura medica ed ogni altre relazione significativa, richiedono limpidezza, linearità e trasparenza.

Due scenari distanti, dunque, ci consegnano un insegnamento comune: la fiducia non è un accessorio. È la condizione stessa della convivenza civile. Nasce dalla chiarezza, cresce nella coerenza tra ciò che si dice e ciò che si fa, si rafforza quando le istituzioni e chi assume ruoli pubblici si assumono pienamente la responsabilità etica dei loro comportamenti. La fiducia, per quanto spontanea, non è mai un bene solido: basta un sospetto per incrinarla, basta un’incongruenza per farla crollare.

A ricordarcelo è anche il pensiero di Annette Baier,  una delle più rilevanti filosofe morali del Novecento. Nel suo saggio Trust and Antitrust (1986), Baier afferma che la fiducia nasce sempre da una condizione strutturale: chi si fida è vulnerabile. Affidarsi significa mettere nelle mani di un altro qualcosa di prezioso: la salute, la sicurezza, la reputazione, perfino il proprio futuro. Questa esposizione al rischio non è una debolezza bensì è il fondamento di ogni relazione autenticamente umana.

Baier descrive la fiducia come un bene morale fragile: esso cresce lentamente, si spezza facilmente e necessita di continua cura. In fondo, le relazioni più importanti della nostra vita, sostiene, non si reggono su contratti o regolamenti, su interessi o accordi funzionali, ma su una rete di legami fiduciari che ci accompagnano fin dalla nascita per tutta la vita. È in questo tessuto di cure reciproche che apprendiamo cosa significa dipendere dall’altro, essere responsabili dell’altro e, infine, confidare.

In un’epoca in cui tutto sembra negoziabile, perfino l’etica, la fiducia resta l’unico terreno che non possiamo permetterci di erodere. Non è un lusso per tempi migliori, né un sentimento ingenuo che si può sacrificare in nome dell’efficienza o della visibilità. Quando la fiducia vacilla, non cade solo un legame personale: si incrina l’intera architettura della convivenza civile. Si genera sospetto, si diffonde cinismo, si sgretola quel tessuto sottile che permette a una comunità di riconoscersi. E alla fine succede la cosa più grave: ciascuno si chiude nel proprio piccolo recinto, convinto di dover badare solo a se stesso. Per questo la fiducia non è una variabile accessoria, non è un “bonus” psicologico, non è un’emozione da evocare nei discorsi ufficiali. È un impegno reciproco, un patto che richiede trasparenza radicale, responsabilità piena e una coerenza che non ammette sconti.

pubblicato su il Cittadino del 19 novembre 2025

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