Per ben tre volte, nel racconto di Luca, risuona un invito rivolto a quell’uomo inchiodato sulla croce: «Salva te stesso!». Il Nazzareno se lo sente gridare prima dai capi del popolo, uomini religiosissimi convinti di difendere la fede; poi dagli occupanti romani, quei soldati pagani che, dopo aver eseguito la condanna, ora osservano i moribondi come si osserva uno spettacolo da deridere; infine la stessa provocazione arriva da uno dei compagni di supplizio, un condannato che condivide il suo stesso destino.
Sembra quasi che la logica del “salvare sé stessi” faccia da ponte tra mondi diversissimi: accomuna giusti e peccatori, religiosi e pagani, ricchi e poveri. È la regola non scritta che governa ogni vita. Salvare sé stessi è, in fondo, la legge di questo mondo, la bussola che spesso orienta decisioni, ambizioni e giudizi.
Forse è proprio questo che rende così scandalosa la scelta di quell’uomo crocifisso di non fare nulla per scendere dal legno della sua condanna. Ai nostri occhi è inconcepibile che una persona non metta il proprio interesse al primo posto, che rinunci a ciò che sarebbe, almeno in apparenza, un proprio “legittimo diritto”: salvarsi, preservarsi, proteggersi.
A ben guardare, “salvare noi stessi” è la stella polare delle nostre esistenze. Sii un uomo di successo! Diventa il primo! Ottieni stima, potere, influenza! Fai carriera, domina, raggiungi i tuoi obiettivi a qualsiasi costo! Quante versioni contemporanee di quel «Salva te stesso!» ascoltiamo ogni giorno. Viviamo come se il mondo dovesse ruotare attorno ai nostri bisogni, come se i nostri desideri giustificassero tutto, come se l’interesse personale fosse un totem davanti al quale sacrificare ogni cosa.
Quanto è distante lo stile di quell’uomo inchiodato al legno dal nostro modo di vivere! Forse, senza una parola, ci mostra che esistono due modi opposti e semplici di stare al mondo: considerare la vita una conquista da ottenere o un dono da condividere; un premio da meritare o un regalo da accogliere con gratitudine.









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