C’è un piccolo angolo di New York che mi sembra un paradiso segreto. Non ha nulla a che vedere con le grandi piazze affollate, né con gli immensi prati di Central Park. Non è nemmeno una delle lunghissime avenue animate da turisti e visitatori. Questo piccolo rifugio si trova in un luogo molto più intimo, quasi familiare: alcune stanze del Metropolitan Museum of Art.
Sono sale silenziose, luminose, che custodiscono alcune delle opere impressioniste più straordinarie di Monet e Van Gogh. Entrarci è sempre un’esperienza singolare: ti ritrovi immerso, letteralmente, in un mondo di ninfee, cieli iridescenti e paesaggi vibranti. È raro vivere qualcosa di simile altrove. In molti musei le opere di questi artisti sono distribuite in varie sezioni, mentre al MET si ha la fortuna di trovarsi in ambienti dedicati quasi interamente a loro.
C’è qualcosa di profondamente affascinante nel lasciarsi catturare dalle pennellate dense, dal colore che sembra ancora vivo sulla tela, dal modo in cui Monet e Van Gogh guardavano la realtà. La natura, un semplice vaso di fiori, un campo attraversato dal vento: tutto diventa un varco, un abisso spalancato sul mistero. È come se la realtà ordinaria si aprisse, rivelando la sua anima più intima. E in quel momento, tra una tela e l’altra, capisci che l’arte non si limita a rappresentare il mondo: ti accompagna dentro la sua verità più profonda.
Proprio lì, in quelle stanze, mi è tornato alla mente lo slogan del Princeton University Art Museum: “Find yourself here.” Una frase semplice ma potentissima, che in italiano può essere resa come “Fatti trovare qui”, quasi ci fosse un appuntamento da non mancare, oppure “Trova te stesso qui”, un invito ad aprirsi a ciò che l’arte può rivelare.
Queste due interpretazioni non si escludono, anzi mostrano la natura duplice dell’esperienza estetica. Davanti a un’opera d’arte avviene sempre un doppio movimento: ci si apre all’altro e, nello stesso tempo, si ritorna a sé. Da un lato incontri lo sguardo dell’artista, la sua alterità, la sua irripetibile visione del mondo; dall’altro qualcosa dentro di te si chiarisce, si illumina, si riconosce. Le pennellate di Monet o di Van Gogh diventano specchi nei quali affiora un’emozione, un pensiero, una parte di te che non sapevi di aver smarrito.
E allora quelle parole — “Find yourself here” — rivelano tutta la loro profondità: nell’arte ci si lascia trovare e allo stesso tempo ci si ritrova. Si scopre l’altro, e in filigrana si scopre il proprio volto. Forse è proprio questo che rende inevitabile il ritorno a certi luoghi, a certe stanze, a certi quadri: non è soltanto il desiderio di rivedere qualcosa di bello, ma la nostalgia per un incontro che continua a trasformarci. Un appuntamento rinnovato con l’arte e con quella parte di noi che solo l’arte sa far emergere.








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