Vittime delle proprie parole

La vita è una gran signora: prima o poi chiede sempre il conto. E quando per anni si abusa della propaganda come strumento di governo, il conto arriva salato, con gli interessi. Spesso a distanza di tempo, quando le promesse hanno già prodotto aspettative, illusioni e – inevitabilmente – vittime politiche. È più o meno quello che stiamo vedendo oggi.

Bastava avere un minimo di senso critico, durante la campagna elettorale che ha preceduto l’attuale legislatura, per capire che molte delle promesse sbandierate dall’attuale maggioranza erano semplicemente irrealizzabili. Non “difficili”, non “complesse”: irrealizzabili. A meno di non voler sfasciare completamente il bilancio dello Stato, compromettere la tenuta dei conti pubblici e scaricare il conto sulle generazioni future.

Parliamo della cancellazione o anche solo della riduzione drastica delle accise, dell’introduzione generalizzata della flat tax, dell’abolizione della legge Fornero. Senza dimenticare proposte più ideologiche che economiche, come il blocco navale, buone per infiammare i comizi ma pessime se confrontate con la realtà giuridica, finanziaria e internazionale. Tutto annunciato con toni perentori, come se governare fosse un esercizio di volontà e non di compatibilità.

Oggi, con la manovra finanziaria 2025 sul tavolo, il governo si trova vittima delle proprie parole. Prigioniero di promesse fatte anni fa, alle quali è oggettivamente impossibilitato a dare seguito senza decidere – deliberatamente – di compromettere seriamente il bilancio dello Stato. E qui sta il paradosso: fortunatamente, e direi responsabilmente, l’esecutivo ha scelto la strada del rigore sui conti pubblici. Una scelta giusta. Necessaria. Ma politicamente devastante per chi ha costruito consenso promettendo l’esatto contrario.

Il risultato è sotto gli occhi di tutti: un governo che appare ostaggio del proprio passato comunicativo, costretto a smentirsi giorno dopo giorno, a riscrivere l’impianto della manovra a colpi di maxi-emendamenti, a correggere, rinviare, limare. Uno spettacolo onestamente imbarazzante, che restituisce l’immagine di un dilettantismo preoccupante nella gestione della cosa pubblica. Non perché cambiare idea sia sempre sbagliato, ma perché qui non si tratta di aggiustamenti tecnici: si tratta di smontare pezzi interi di una narrazione che non regge alla prova dei numeri.

Come si dice? Chi è causa del proprio male pianga se stesso. Peccato però che, in questo caso, a pagare le conseguenze non sia solo chi ha costruito castelli di promesse irrealizzabili, ma tutti noi cittadini. Perché l’incertezza, l’instabilità, la mancanza di credibilità si traducono in meno fiducia, meno investimenti, meno prospettive.

La propaganda può vincere le elezioni. Governare, però, richiede competenza, verità e il coraggio di dire no. E la vita, prima o poi, presenta sempre il conto. Anche – e soprattutto – a chi ha pensato di poter vivere a credito di realtà.

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