Ha fatto il giro di tutte le prime pagine dei giornali: il giorno di riposo di Papa Leone a Castel Gandolfo. Ormai da qualche tempo, infatti, il Pontefice ha preso l’abitudine di lasciare il Vaticano il lunedì sera per concedersi una giornata di completo distacco il martedì, nella dimora papale di Castel Gandolfo. Una residenza che negli anni precedenti era stata poco utilizzata, ma che il nuovo Papa americano ha riscoperto come piccolo rifugio settimanale di rigenerazione.
In quelle ore lontane dai Palazzi Apostolici, Papa Leone non interrompe certo il suo lavoro: con lui viaggiano grandi scatoloni di carte, dossier, appunti. Ma accanto allo studio trovano spazio anche il tennis, le lunghe passeggiate, qualche ora nella piccola piscina riscaldata della residenza. Dettagli che hanno attirato la curiosità dei giornalisti e acceso un dibattito mediatico, talvolta indulgente al colore, talvolta un poco ironico.
Eppure, se andiamo oltre la superficie dell’evento, forse possiamo cogliere alcuni spunti più profondi che questa nuova routine del Pontefice ci sta suggerendo. Forse tre, in particolare.
Il primo riguarda il coraggio di fermarsi. Immaginiamo quanti impegni il Papa debba lasciare alle spalle per ritagliarsi queste poche ore di riposo: udienze, incontri, decisioni che riguardano la Chiesa universale. Viviamo in una società in cui sembra sempre necessario fare, produrre, essere all’altezza; una società che non ammette pause, perché in qualunque istante potremmo perdere “l’occasione della vita”. Papa Leone, invece, sembra ricordarci che fermarsi non è una colpa, ma una scelta responsabile. Riconoscere i propri bisogni, onorarli, non significa sottrarsi al dovere, ma abitare la vita con uno stile che non sia solo quello dell’efficienza, della produttività, della performatività.
Il secondo elemento riguarda la cura di sé, troppo spesso fraintesa. Non si tratta di vago egocentrismo o di narcisismo spirituale. Al contrario, è il riconoscimento dell’importanza della propria umanità. Non amiamo e non ci prendiamo cura degli altri come macchine programmate per funzionare senza sosta, ma come uomini e donne riconciliati, pacificati interiormente. Solo così il dono di sé diventa una scelta libera, consapevole ed equilibrata, non un automatismo né una forma di compensazione. Ci si dona davvero agli altri solo quando non ci si è smarriti lungo la strada.
Infine, il Papa sembra testimoniare in prima persona la necessità di prendersi cura di quel mondo interiore che la società contemporanea tende spesso a ignorare o addirittura a denigrare. Esiste un mondo che la tradizione chiama “spirituale”, al di là delle cose immediatamente misurabili, che richiede attenzione, coltivazione e custodia. È lì che custodiamo il senso profondo della nostra vita, l’orizzonte complessivo di significato che diamo al nostro vivere; ed è lì, per chi crede, che si apre l’incontro più vero e profondo con la trascendenza.
In questi giorni di festa natalizia, molti di noi potranno concedersi qualche giorno di vacanza. Sarebbe bello se, sull’esempio dei martedì del Papa, questi giorni non fossero soltanto assenza dal lavoro o tempo vuoto, ma occasioni di autentica rigenerazione umana e spirituale. Che lo stop alle incombenze quotidiane diventi l’opportunità per prenderci cura di quella parte così vitale della nostra esistenza che troppo spesso, presi dalla corsa, lasciamo in disparte.
pubblicato su il Cittadino di sabato 27 dicembre 2025








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