dove si custodisce la fragilità

A volte la vita parla più con le immagini che con i discorsi.

È la prima domenica dopo Natale e la liturgia celebra la festa della Santa Famiglia. Le letture, le preghiere, le orazioni riportano tutte lì: al bambino di Betlemme, a sua madre, a suo padre. A quella piccola famiglia fragile e concreta, dentro la quale prende forma una storia che riguarda anche noi. Perché, in fondo, attraverso di loro vengono illuminate tutte le relazioni familiari che segnano il nostro vivere.

Mentre mi preparo a ricevere la comunione, in attesa del mio turno, lo sguardo si posa su una scena semplice, quasi banale. In fila nella navata centrale un papà tiene in braccio il suo bambino di pochi mesi, profondamente addormentato. Pochi passi più in là, una donna accompagna la mamma, che avanza lentamente appoggiandosi a una stampella. Nessuna parola, nessun gesto plateale. Eppure, in quell’istante, tutto sembra parlare.

È come se, senza bisogno di spiegazioni, diventasse chiaro che la famiglia, è questo: un intreccio di vite che si sostengono a vicenda. È prendersi carico dell’altro quando non ce la fa, quando non è autosufficiente, quando ha bisogno di essere portato o sostenuto. Quando la vita non è ancora autonoma e quando non lo è più. Ma tra queste due fragilità iniziali e finali si collocano anche le mille fragilità intermedie: ordinarie, quotidiane, spesso nascoste, ma non per questo meno reali o meno pesanti.

La famiglia, forse, è il primo luogo in cui la fragilità non viene nascosta né giudicata. È il luogo in cui la debolezza e il limite non sono una colpa, ma una chiamata alla cura, un invito a rallentare, ad avere attenzione, a custodire. Questo vale per ogni famiglia, di ogni genere e forma, colore e cultura, religione o tradizione. Non si tratta di idealizzare, ma di riconoscere che è proprio lì, dentro la vulnerabilità condivisa, che si costruiscono legami autentici.

In questa festa della Santa Famiglia, il Vangelo non ci consegna un’immagine perfetta e irraggiungibile, ma una scena profondamente umana. Una famiglia che attraversa la fragilità e la abita, trasformandola in spazio di amore. Forse è questo che la vita, più delle parole, continua a volerci insegnare.

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