Oggi, per questo ultimo post dell’anno, lascio volentieri la parola alla mia amica Elena che racconta questa straordinaria storia di Natale di cui sono stato involontario testimone. Il racconto è stato pubblicato sulla newsletter culturale de il Cittadino.
***
Che stramberia collocare il Natale a giugno!
A giugno nessuna luminaria infiocchetta strade e balconi, nessun abete domina le piazze delle città e, quanto al presepe, è inscatolato insieme agli altri addobbi, in attesa del tempo canonico. A giugno proprio nulla fa pensare al Natale! E certo non ci pensavamo neppure noi tre amici, riuniti ad Abbadia Cerreto in una tiepida sera di giugno di due anni fa. La preoccupazione allora era il concerto che avrebbe avuto inizio di lì a poco.
Ci eravamo ritrovati con largo anticipo per controllare tutte le cose spicce: le sedie sistemate, i tecnici delle luci e della musica al lavoro, la disinfestazione contro le zanzare, il pianoforte collocato al suo posto… Sì, sembra che tutto torni. Però spostiamo ancora di qualche centimetro una sedia, ci assicuriamo che i tecnici abbiano terminato…facciamo tutte quelle cose inutili che servono più che altro a tentare di imbrigliare l’apprensione che sale inesorabile.
Intanto sentiamo arrivare un’automobile: ha la targa tedesca. È proprio lui! È Aeham, il pianista siriano-palestinese che abbiamo contattato per il concerto e che ora vive in Germania. Arriva con sua moglie Tahani e finalmente ci conosciamo di persona, dopo qualche mese di contatti a distanza. È simpatia immediata e le strette di mano di circostanza si trasformano subito in abbracci. “Welcome! Nice to meet you…ehm…”.
La differenza di lingua non aiuta certo e la conversazione langue velocemente. Per fortuna c’è Marco a fare da mediatore, perché lui se la cava bene con l’inglese. Però avvertiamo che comunque la comunicazione non si interrompe, perché di fatto continuiamo a parlare con gli occhi, con i sorrisi, con tutto ciò che crea legame al di là della lingua. E così la sintonia che respiriamo va ben oltre le parole che riusciamo a scambiarci. Anche il bisogno di controllo di poco prima sembra sparito. Anzi, si è proprio dissolto! È la potenza del calore umano, sempre capace di far accadere simili miracoli.
Intanto ci sediamo attorno ad un tavolino bianco, di quelli di plastica, neanche tanto stabile: è la nostra mensa spartana di stasera. Certo, avremmo voluto approntare un’accoglienza meno grezza, ma i tempi non ce lo consentivano. Aeham e Tahani sono perfettamente a loro agio in questa cornice minimal ed il pane e formaggio che mangiamo insieme acquista il gusto speciale dei pasti condivisi in amicizia. Sì, perché ci sembra di conoscerci da tempo e non solo da una manciata di minuti!
Cosa sta accadendo? In questo momento non ci poniamo domande: viviamo grati ciò che accade. Il volto discreto della luna che ci guarda dall’alto ed il profilo carico di secoli dell’abbazia sono parte integrante di questo nostro stare insieme gioioso e familiare: che siano in qualche modo i registi silenti di un evento che sta a noi poi liberamente interpretare? Sono domande che però nascono dopo: per ora assaporiamo tutta la magia di questo essere lì con persone che fino a pochi minuti prima non conoscevamo e che ora sentiamo avere spazio dentro di noi. Intanto incomincia ad arrivare gente, e mentre Aeham prova il pianoforte, altre persone arrivano e poi ancora. Le sedie sono tutte occupate..
Il silenzio intanto si anima delle note struggenti che Aeham fa uscire dal pianoforte, come fosse una levatrice che fa nascere creature nuove. Creature che ci parlano di mondi che conosciamo solo per sentito dire, di drammi che ci sfiorano dalla distanza di sicurezza degli schermi e di pace, del bisogno assoluto e vitale di pace. Le parole di Elsa, la nostra empatica attrice, dialogano intanto con le note e ci parlano di pace, di quella pace che è possibile solo se la si vuole davvero e la si prepara. Gli applausi che scrosciano intanto parlano di questo desiderio che abita nel cuore di tutti e che vorrebbe farsi gesto e domanda: “Come si fa a porre fine alle guerre? Basta non farle!”
Con queste parole di Gino Strada il concerto si chiude, mentre si aprono per tutti noi le possibilità di crescere in umanità. Infatti nasciamo umani, ma diventarlo è il nostro compito sempre.
L’occasione per noi tre amici si presenta immediatamente dopo, quando Aeham ci parla di Fadi, suo maestro al conservatorio di Homs, ancora bloccato in Siria, e lo chiama al telefono. Ed è grande la nostra sorpresa, quando lo sentiamo parlarci in italiano! Aeham ci racconta del suo maestro ed amico, di quanto sia stato prezioso il suo aiuto per lui, allora giovane studente al conservatorio. E ci parla del suo sogno: poter aiutare Fadi ad arrivare in Europa, strapparlo da un Paese martoriato da anni e anni di guerra civile senza fine. Perché c’è una circolarità del bene, che si radica nel terreno del cuore e poi germoglia in pensieri e progetti che lì per lì sembrano impossibili…o forse no?
Sono passati più di due anni da quella sera di giugno ed ora siamo davvero nel periodo di Natale. Il nostro presepe però abbiamo cominciato ad allestirlo quella sera. Non ce li siamo neanche detti i pensieri che circolavano nella mente di tutti noi, talmente erano evidenti… No, è impossibile poter fare una cosa simile! Da che parte incominciamo poi? Però, insieme a queste considerazioni ovvie, un altro seme si è innestato: sarebbe bello poterci almeno provare…Ma no, non si può. Togliamocelo dalla testa!
Intanto, in questi due anni, Aeham è tornato da noi altre volte, per nuovi concerti e sempre nelle chiacchierate tornava il pensiero per il suo maestro Fadi, in serio pericolo in Siria. Ed anche il minuscolo seme, sotterrato nei nostri cuori quella sera di giugno, inspiegabilmente ha iniziato a mostrare un tenero germoglio…forse si può fare. O almeno si può provare.
Le difficoltà ci sono state tutte e anche qualcuna in più, però la richiesta del visto è partita. I documenti sembrano a posto…no, ne richiedono altri. Ok, si possono produrre nei tempi stabiliti. Fadi scrive che la domanda presso l’ambasciata in Libano è stata accolta. E sì, perchè in Siria non c’è più neppure l’ambasciata, quindi bisogna spostarsi in Libano per i documenti. Comunque evviva! Ma non vuol dire niente…può essere rifiutata.
Passano i giorni, nessuna risposta. Fadi, sai qualcosa? Ovvio che non lo sa, altrimenti ce l’avrebbe detto! Di nuovo si fa vivo quel germe dell’inquietudine che cerchiamo di placare con domande e gesti inutili… Fadi ci invia quello che può: lo screenshot della piattaforma dell’ambasciata in cui si dice che la domanda è stata accolta. Sì, lo sappiamo, ma ora? Intanto il biglietto aereo, una delle richieste necessarie per avviare la procedura, deve essere modificato: i tempi sono strettissimi, ci sono di mezzo anche il sabato e la domenica e gli uffici sono chiusi. Ci diciamo però che se noi qui scrutiamo con apprensione le notifiche del gruppo per vedere materializzarsi la fatidica risposta, chissà cosa può vivere lui là, in questi giorni di limbo in cui la sua vita è appesa ad una risposta imperscrutabile.
Cerchiamo di alimentare la speranza con il pensiero, l’unica cosa che possiamo fare, che poi in realtà non è qualcosa che facciamo, ma è solo uno stare insieme in attesa.
Arriva una notifica: è Fadi. Ha postato la foto del suo passaporto con il visto! Non ci crede, chiede conferma: “Ma è proprio vero? Davvero posso venire?” Allarghiamo la foto, leggiamo più volte. Sì, c’è il visto. Ora deve tornare a Beirut per prendere il volo.
“Sono alla frontiera. Spero di poter passare”. Quanto ci vorrà? Andrà tutto bene? “Sono in aeroporto”, scrive dopo alcune ore.
“Veniamo a prenderti quando atterri”
“Venite a Bergamo? Davvero? No, ma posso organizzarmi”
“Quando arrivi ci trovi lì”
Controlliamo i tabelloni: il suo aereo è in ritardo, ma non si sa di quanto. Aspettiamo…nessuna indicazione di tempi. Controlliamo il volo sull’applicazione…controlliamo per tentare di ingannare il solito demone dell’inquietudine.
“Sono atterrato”
Il tabellone continua a segnalare ritardo, ma se ha scritto vuol dire che è arrivato davvero! Tre paia di occhi si incollano all’uscita dei passeggeri. Controlliamo la foto sul telefono, non sia mai che non lo riconosciamo! Escono alcune persone, ma nessuna che possa essere Fadi. Finalmente appare qualcuno che può essere lui: “Fadi?” “Sì, sono io”, ci dice la sua voce, gentile come tutto il suo aspetto.
Lo guardo, lo abbraccio…e, sì, i miracoli esistono. Ed è davvero Natale.








Lascia un commento