Mi affascina molto la parola “potere”… ne parlavo già qualche anno fa in questo post che vorrei riprendere ed in qualche modo ampliare.
Difficile non essere sedotti dall’esperienza del potere: esso afferisce alla nostra possibilità di presa sul mondo, alla nostra capacità di influenzare e cambiare le cose, la nostra necessità di “fare la differenza”, di contare qualcosa, di non essere passati inutilmente su questo pianeta. Foucault ci insegna che il potere struttura i nostri rapporti quotidiani, sia quelli formali che quelli informali: esso non è un elemento patogeno ma indispensabile nelle nostre relazioni umane e nel nostro vivere insieme agli altri. Il potere non è il male ma un elemento essenziale della nostra esistenza.
Ricordavo già nell’ultimo post dell’ambivalenza semantica del termine potere: inteso come sostantivo esso afferisce ad una competenza e ad un controllo (es. in ufficio esercito un potere di..) che rischia talvolta di trasformarsi in prevaricazione e dominazione; come verbo invece esso lascia intendere una possibilità, una capacità, un essere in grado di, avere il coraggio di, avere la libertà di.
Quanto è diverso il nostro rapporto con gli altri quando scegliamo di adottare la forma verbale o il sostantivo! In fondo essere leader è esercitare un potere, ma quale potere? Quello del dominio o quello della possibilità? Mi spiego: esercito un potere perché so di essere obbedito, ascoltato, considerato, rispettato e spesso adulato o esercito il potere perché possiedo la possibilità di “mettere gli altri nella condizione di…”, perché posso compiere scelte che sono funzionali alla loro piena espressione e realizzazione? Ho un potere perché questo accresce la mia individualità, la mia area di influenza, il mio essere in controllo delle cose e delle persone, oppure il mio “potere” è un poter fare, un rimuovere gli ostacoli, indicare una direzione, sostenere il cammino, dare fiducia?
Insomma il potere è qualcosa che rafforza il mio Io o è la possibilità di concedere possibilità?









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