Maternità

La maternità è una esperienza straordinaria ed inspiegabile, tanto stupenda quanto misteriosa: in essa la donna si confronta in maniera ineffabile con il mistero profondo della vita, la sua trasmissione, cura e progettualità. Che la vita possa nascere nel grembo di un essere umano di sesso femminile è qualcosa che ha sempre affascinato ed interrogato l’uomo e la donna nel corso dei secoli, fin dai più lontani albori della civiltà. La maternità è sempre stata il cuore pulsante della vicenda umana, non solo per un mero fatto riproduttivo e di continuità della specie, ma, e forse soprattutto, per il valore simbolico che essa esprime, quel suo essere così vicino (forse il più vicino in assoluto) all’enigma della vita, al suo sorgere germinale e al suo debole affacciarsi all’orizzonte di questo mondo.

Di tutto questo racconta “Maternità”, l’ultima mostra d’arte a cura dell’associazione culturale I Ricci ed esposta a Lodivecchio presso il locali del Conventino, ora luogo espositivo ma originariamente parte del complesso monastico di Santa Maria e dedicato – a volte le coincidenze – a Santa Maria Dei Genetrix. Il percorso si snoda attraverso una pluralità di opere d’arte e di documenti storici che, nel corso dei secoli e provenienti da diversi continenti, parlano della maternità, nelle sue multiformi esperienze ed rappresentazioni: la maternità nelle culture indigene dell’africa ed in quelle delle civiltà orientali; la maternità come cura e nutrimento dei figli ma pure come luogo segnato dal dolore, dalla separazione e dallo stigma; la maternità come dimensione essenziale di riti e religiosità e la stessa colta nel suo radicamento sociale, emotivo ed affettivo; la maternità come spazio del riconoscimento e dell’accoglienza ma pure come fenomeno ambivalente attorno al quale si sono sedimentate credenze, ritualità, superstizioni e usanze. Ci trovi un po’ tutti i tratti poliedrici della maternità nelle sale espositive, forse proprio a testimonianza che l’esperienza della generazione ha sempre coagulato tradizioni, visioni e vissuti spesso enigmatici, complessi, a volte contraddittori e confusi, misteriosi ed arcani.

Sostiene una filosofa contemporanea, Susy Zanardo, che, quando cerchiamo di riflettere sull’esperienza della maschilità e della femminilità, cercando di decostruire quei significati talvolta oppressivi e violenti che la differenza sessuale ha implicato nei secoli, giungiamo ad un punto nevralgico, decisivo e inconfutabile. Ciò che differenzia l’uomo dalla donna è la modalità specifica che ciascuno di essi incarna nel rapporto con la generatività, intesa non solo come mero dato biologico-riproduttivo, ma colto nell’ampiezza simbolica ed esperienziale che ad essa afferisce. La donna, dice la Zanardo, è colei che genera portando a sé il mondo, esperendo nel proprio corpo un rapporto immediato e diretto con la vita; l’uomo, da parte sua, genera portando se stesso nel mondo, in un movimento di estroflessione che assume i tratti dell’azione e della performatività.

Senza voler forzare contenuti e rappresentazioni, significanti e significati, mi pare che la mostra “Maternità” racconti in maniera interessante e profonda quel movimento, allo stesso tempo corporeo e spirituale, che abita la donna nella sua dimensione generativa. La capacità di dare la vita e di custodirla teneramente in sé forse rappresenta il filo rosso di questo percorso artistico, così abilmente tracciato. Quelle statue africane della forme abbondanti e dai seni cadenti, le sculture in ceramica giapponese, le icone della Vergine, gli oggetti usati in rituali arcani o le cartoline lasciate alla Ruota degli Esposti, la Madonna leonardesca della bottega di Bernardino Luini (che da sola merita, a mio parere, la visita!) insieme alle opere dal gusto più contemporaneo ed attuale, ebbene tutte indagano quell’evento misterioso e potentissimo che accade nel grembo di una donna quando esso si fa dimora dell’assoluto.

È singolare come, dopo secoli di scienza e di sapere tecnologico, dopo decenni di rivoluzione sessuale e culturale, dopo anni di decostruzione di credenze e saperi, ci troviamo ancora ammutoliti e sorpresi a contemplare, quasi in estasi, una donna che abbraccia teneramente il proprio pargoletto.

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