Oggi, su Repubblica, Michele Serra si interroga su cosa sia il razzismo. Il giornalista scrive: “Il razzismo è sottolineare l’etnia o la nazionalità di qualcuno quando fa comodo, quando rafforza i propri pregiudizi e attizza quelli altrui. E considerare irrilevante l’etnia o la nazionalità di qualcuno quando non è conveniente farlo, quando non giova alla propria causa“. Il riferimento è chiaramente ai recenti commenti del segretario della Lega sull’omicidio Verzeni, in cui è stata strumentalmente enfatizzata l’origine nordafricana del colpevole confesso. Serra aggiunge: “O sottolinei sempre, in ogni caso, l’etnia dell’autore di un crimine, oppure non la sottolinei mai, perché se lo fai solo quando il criminale è milanista (se sei interista) o è interista (se sei milanista), significa che non ti importa nulla del crimine, né della vittima: ti interessa solo caricare quel crimine sulle spalle del ‘nemico‘.”
Mi permetto di aggiungere a quanto scritto da Serra (che sottoscrivo pienamente) un’altra possibile definizione di razzismo: è razzismo trattare alcune vittime come persone, con un nome e un volto, e altre semplicemente come numeri. Mi riferisco al diverso trattamento riservato ai morti nel conflitto israelo-palestinese. Quando muore un cittadino israeliano, la stampa fornisce dettagli sull’accaduto: apprendiamo il nome, vediamo la foto, conosciamo qualcosa della sua vita, del suo lavoro, dei figli, ecc. È giusto che avvenga così: ogni essere umano ha una dignità e un’identità personale che meritano di essere onorate e ricordate. Tuttavia, lo stesso trattamento non viene riservato alle vittime palestinesi, generalmente citate solo come numeri. “Oggi 50 vittime palestinesi negli attacchi…”, “35 morti negli attacchi militari israeliani…”, ma quasi mai si vedono nomi, volti, storie. Eppure, anche quei disgraziati palestinesi hanno famiglie, figli, padri e madri, persone che li amavano e con cui vivevano. Erano anch’essi esseri umani, non solo statistiche in un report giornalistico!
Confesso che trovo davvero inaccettabile e fastidioso questo modo di raccontare e descrivere ciò che accade. Ho il sospetto che dietro tutto questo ci sia una forma di razzismo latente, un diverso valore attribuito alle persone in base alla loro nazionalità, cultura, origine o ricchezza. C’è razzismo ogni volta che una vita viene valutata diversamente da un’altra, ogni volta che il colore della pelle, degli occhi, la lingua, le tradizioni e la cultura diventano criteri con cui definiamo chi è più o meno umano.









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