Un giorno i nostri figli e nipoti ci chiederanno: “Dov’eravate voi mentre accadeva tutto questo? Cosa avete fatto mentre migliaia di bambini venivano uccisi sotto i vostri occhi?” E noi, che oggi assistiamo a una delle più terribili tragedie umanitarie del nostro tempo, saremo costretti a trovare parole che giustifichino il nostro silenzio, la nostra impotenza, il nostro sguardo voltato altrove.
In Palestina, nella Striscia di Gaza e in Cisgiordania, si consuma da mesi – ormai anni – una catastrofe che colpisce in modo indiscriminato la popolazione civile, e in particolare i bambini. Sono loro, i più fragili, a pagare il prezzo più alto in una guerra in cui ogni giorno vengono cancellate vite, speranze, infanzie. È di pochi giorni fa l’ennesimo allarme dell’UNICEF: oltre 17.000 bambini uccisi a Gaza dall’inizio dell’offensiva, 33.000 feriti, e una media giornaliera agghiacciante – 28 bambini al giorno, l’equivalente di un’intera classe che scompare nel nulla, ogni giorno, da quasi due anni.
Fermiamoci un attimo a pensare: un’intera classe sterminata ogni 24 ore. Quale altra immagine serve per riconoscere che ciò che sta accadendo ha superato la soglia dell’umanamente tollerabile?
Nel frattempo, la situazione in Cisgiordania e a Gerusalemme Est peggiora ogni giorno. Case demolite, famiglie sfollate, strade distrutte, villaggi sotto assedio. Oltre 32.000 persone sono state costrette a lasciare le proprie abitazioni. Solo dall’inizio del 2025, 33 bambini palestinesi sono stati uccisi, spesso durante operazioni militari o per mano di coloni armati. A questi si aggiungono 120 minori attualmente detenuti senza processo, in quella che viene definita “detenzione amministrativa”, un eufemismo che nasconde violazioni dei più basilari diritti umani.
Cosa risponderemo quando ci verrà chiesto perché abbiamo lasciato che questo accadesse? Perché non abbiamo gridato abbastanza forte, scritto abbastanza, protestato in piazza, smesso di chiamare “danni collaterali” ciò che è evidentemente un massacro sistematico?
I bambini che sopravvivono oggi alla guerra a Gaza, sopravvivono a stento. Soffrono traumi psicologici profondi, sono affamati, disidratati, senza accesso a cure mediche. Secondo i dati delle Nazioni Unite, quasi 6.000 bambini sono in condizioni di malnutrizione acuta grave, un numero aumentato del 180% solo tra febbraio e giugno. Serve nutrizione controllata, acqua potabile, assistenza medica. Serve dignità. E invece, questi bambini vengono uccisi mentre fanno la fila per un pasto, mentre cercano cibo o medicine. Davvero vogliamo accettare che siano chiamati “terroristi”, “miliziani”, “scudi umani”?
No. Questi bambini non sono combattenti, non portano armi, non pianificano attentati. Sono esseri umani innocenti, schiacciati da una guerra che non hanno scelto e che il mondo continua a osservare con un misto di indifferenza e impotenza.
L’infanzia palestinese – come ogni infanzia del mondo – dovrebbe essere tutelata, protetta, accompagnata alla vita con cura. Invece viene sepolta sotto le macerie, privata della scuola, della famiglia, del gioco, dell’avvenire. E a noi, cittadini di questo tempo, resta il compito gravoso di non dimenticare, di non accettare come “normale” ciò che è aberrante. Come ci ricorda Carl Rogers, se c’è qualcosa che ci rende davvero umani, è la capacità di riconoscere il dolore dell’altro come fosse il nostro. E allora non servono ideologie, bandiere o confini per dire che ogni bambino ha diritto alla vita, al futuro, al gioco. Non possiamo cambiare il passato, ma possiamo decidere ora se restare indifferenti o diventare testimoni di umanità. Prima che l’orrore diventi abitudine, prima che la nostra coscienza smetta di battere.
pubblicato si il Cittadino del 5 agosto 2025









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