Non c’è dubbio che il grande raduno per il Giubileo dei giovani sia stato un’esperienza straordinaria. Vivere alcuni giorni insieme a ragazzi giunti da ogni angolo del pianeta rappresenta qualcosa di unico e irripetibile nella vita di un giovane d’oggi, spesso più abituato a passare ore in compagnia dello smartphone o a frequentare gli spazi rarefatti dei social network. Incontrare, finalmente in carne e ossa, altri giovani che condividono — ognuno a modo proprio — lo stesso percorso umano e di fede, è stato un dono autentico per l’esistenza di ciascun partecipante. Un dono destinato a segnare gli anni futuri, così come accadde a molti “ex giovani” che ancora oggi ricordano il Giubileo del 2000 con Giovanni Paolo II. Immagino che anche per i ragazzi di oggi quest’esperienza rimarrà impressa nella memoria per tutta la vita.
L’incontro giubilare è stato l’occasione per sperimentare una Chiesa accogliente, aperta, attenta alle nuove generazioni. Mi spingo a definirla una Chiesa capace di simpatia, entusiasmo, gioia contagiosa e di offrire una parola buona senza imposizioni Mi auguro che la generazione dei millenials abbia potuto ascoltare una Notizia che sia Buona anche per la loro età e la loro esistenza, perché fede e gioia sono come una moneta contagiosa: capaci di accendere la vita, quando si ha la fortuna di incontrarle sul proprio cammino.
Tuttavia, se non vogliamo fermarci all’aspetto più emozionale di queste giornate, è necessario porci una domanda forse scomoda, ma inevitabile se desideriamo che questi momenti diventino una rampa di lancio e non bolle isolate: quali comunità cristiane troveranno questi giovani al loro ritorno? In che misura sarà offerta loro la possibilità di abitare una Chiesa accogliente e simpatica, compagna di viaggio esigente ma non giudicante, rigorosa ma non escludente, maestra e non matrigna?
Sono convinto che sarà la qualità delle relazioni comunitarie che i giovani sperimenteranno una volta tornati a casa a fare la differenza, rappresentando lo spartiacque tra il ricordare quei giorni come un’eccezione irripetibile o come una sosta rigenerante, capace di rinnovare e motivare il cammino di ciascuno. L’opportunità più preziosa per le loro vite, presenti e future, consisterà proprio nella possibilità di trasferire l’entusiasmo vissuto a Roma nella quotidianità spesso spenta e anonima di tutti i giorni, traducendo le energie raccolte nel grande raduno anche nelle piccole esperienze delle periferie, lontano dal fragore dei palchi e delle folle festanti.
Se, come comunità adulta nella fede, non sapremo accompagnare la discesa dal Tabor e il ritorno alla Galilea della vita quotidiana, investendo il tesoro di entusiasmo raccolto nel concreto delle esistenze, questi giovani rischieranno di ricordare solo un momento esaltante, ma purtroppo sterile.
La sfida, forse, non riguarda soltanto le nuove generazioni, ma anzitutto la comunità adulta che anima e guida le nostre realtà cristiane. Saremo capaci di essere una comunità accogliente, capace di fare spazio, di ascoltare e accompagnare, di diventare un luogo dove i giovani possano esprimere le proprie potenzialità e raccontare la loro fede con linguaggi e modalità nuovi? Sapremo essere adulti credenti e credibili, in grado di generare vita, aprire sentieri, indicare prospettive, incarnare speranza e liberare il futuro?
La partita del Giubileo non si è conclusa con la benedizione finale di Papa Leone: essa si apre ora, nelle mille periferie del nostro Paese, nelle piccole comunità che animano il territorio e sono chiamate a diventare case davvero accoglienti per le nuove generazioni.
Pubblicato su il Cittadino del 9 agosto 2025 (Qui)









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