come note su un pentagramma…

Vi è un potere inesplorato nel gesto dell’ascolto, una forza mite, umile, docile, eppure efficace, vigorosa e generosa. La nostra mentalità efficentista, capace di valorizzare e apprezzare solo ciò che è attivo e funzionante fatica a riconoscere il valore straordinario di un atto così passivo, indifeso e talvolta impotente.

Qualcuno ha scritto che il nostro problema è che ascoltiamo per rispondere e non per comprendere ed accogliere e temo che questo sia il vulnus del nostro atteggiamento esistenziale. In fondo vale ciò che è attivo, ciò che fa, ciò crea effetti, produce risultati, muove le situazioni. Tutto quanto afferisce ad una dimensione di radicale passività e ricettività intercetta poco il nostro interesse e, se lo fa, crea un qualche disturbo e fastidio. È il mito dell’homo faber o, in salsa più moderna, del self-made man: il soggetto che è signore del proprio destino, autore della propria esistenza, protagonista unico della propria vicenda.

L’esperienza dell’ascolto muove su binari completamente divergenti e percorre traiettorie assai distanti: ascoltare implica un gesto pacato e mansueto di accoglienza, di disponibilità, di apertura e di simpatia. Vivi l’arte dell’ascolto solo nel momento in cui sai sopire gli stimoli che vengono dal mondo esterno e dal tuo universo interiore e tutta la attenzione è posta sulle parole dell’altro, su ciò che esso dice e, soprattutto, su ciò che esso non dice. Sì perché ascoltare è assai più che udire; esso eccede il semplice fatto biologico del timpano sollecitato dalle onde sonore.

L’ascolto esige la capacità di mettersi nei panni dell’altro, di tentare, per quanto ci è possibile, di vedere il mondo con i suoi occhi, di sentire le cose come le percepisce lui. È in questo sforzo che comprendi che la parola pronunciata è solo una piccola parte del mondo che l’altro sta condividendo: ci sono le pause, le intonazioni della voce, i sospiri, le smorfie della faccia, il movimento delle mani, la postura del corpo, l’intensità dello sguardo ed il silenzio tra voi. Ascoltare è come leggere una spartitura musicale, in cui il segno della singola nota acquista valore e significato nella melodia complessiva del pentagramma. Vi è anzitutto una sintonia dei cuori, un accordo dei sentimenti, un’intesa delle menti che rendono ogni gesto di ascolto un piccolo evento di incontro e di relazione.

Dio solo sa quanto oggi le gente che vive attorno a noi ha fame di persone capaci di ascolto, di quell’atto mite e disinteressato che ci fa sentire al centro dell’attenzione dell’altro, nel cuore del suo cuore, nel punto più vivido della sua mente. Vi è davvero un potere poco praticato in questo gesto tanto semplice quanto esigente, allo stesso tempo disarmato e vitale, riservato e nobile.  

Se è vero che ciascuno di noi fa esperienza della propria singolare unicità, talvolta della propria solitudine ed incomunicabilità, nell’esperienza dell’ascolto sperimentiamo la grazia di sentirci simili, affini, vicini. L’ascolto è capace di rompere quella bolla di isolamento che esclude e ci sa donare la gioia della prossimità dell’altro.

Una replica a “come note su un pentagramma…”

  1. Avatar Emyly Cabor

    Tanti sentono, pochi ascoltano. La musica insegna la cosa più difficile da mettere in atto
    “ascoltare”

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