Le parole acquistano una singolare consistenza di fronte alla morte. Quando pronunci certe frasi di fronte a chi giace freddo ed immobile, avvolto dal gelido manto di sorella morte, i tuoi suoni prendono una forza particolare.
Davanti a quelle membra inermi le parole divengono pesanti come le pietre lanciate contro un nemico. Di fronte al silenzio e all’immobilità della morte, le tue parole ingaggiano un corpo a corpo tra ciò che è muto e ciò che ancora possiede una voce: la morte contro la vita, la parola contro il silenzio, la paralisi contro il movimento.
Questo vale anche quando le parole assumono la sostanza della preghiera. Quando reciti “Alzo gli occhi verso i monti: da dove mi verrà l’aiuto?” così come ci invita a fare la salmodia dei vespri per i defunti, quella domanda, che in altre occasioni e contesti sarebbe suonata poetica e sentimentale, diventa dura come pietra e fredda come la roccia.
“Da dove mi verrà l’aiuto?” domandi alla presenza di quel corpo freddo, quasi facendoti interprete di un lamento che a lui non è più concesso. “Da dove mi verrà l’aiuto?” dici guardando, quasi con sfida, quelle membra che aiuto paiono non averne ricevuto.
È proprio in quel mentre che ti accorgi che pronunciare quelle semplici parole, in quel posto ed in quel momento, diviene un atto di folle e scandalosa Fiducia. Il solo proferir parola di fronte al silenzio della tomba è un gesto che disvela una speranza che va Oltre, che rompe la materia, che evoca Vita anche laddove pare non esserne più.
“Alzo gli occhi verso i monti: da dove mi verrà l’aiuto? Il mio aiuto viene dal Signore, che ha fatto cielo e terra.”(Sal 120)