Forse lasceremo davvero spazio ai giovani solo il giorno in cui avremo il coraggio di ascoltare parole “eretiche” uscire dalla loro bocca e sapremo trattenerci dall’istinto di volerle censurare.
Ci ripetiamo che occorre dare voce ai giovani, concedere loro occasioni per esprimersi e per portare la loro carica di novità in questo mondo. Ma poi accade che non appena fanno o dicono qualcosa che devia dai nostri schemi, subito scatta la voglia di correggere, di rettificare e di ridimensionare. Auspichiamo che i giovani prendono la parola, ma poi soffochiamo ogni spinta di cambiamento ed ogni slancio che non si integri perfettamente con i nostri schemi.
Penso invece che avremmo assolto il nostro compito di “generatori alla vita” nella misura in cui saremo stati in grado di sopportare il loro sguardo eversivo, se avremo saputo sostenere le loro parole trasgressive e se avremo saputo accettare che i nostri schemi, le nostre abitudini ed usanze vengano contestate e ribaltate tutte d’un colpo.
Ogni generazione ha sempre svolto questo compito verso la precedente: ha rappresentato un elemento di rottura, di discontinuità, di cesura con quello che si è sempre fatto. In fondo si progredisce anche così: attraverso idee innovative, pensieri divergenti, parole astruse, passi azzardati e gesti sconsiderati.
Il “nuovo che giunge” non sempre si incastra alla perfezione negli schemi esistenti, così come non è detto che sia un bene versare vino nuovo in otri vecchi, né cucire una stoffa nuova su un vestito logoro. Talvolta la novità è per sua natura eretica, destabilizzante ed irriverente.
Forse è questa una delle cose più fastidiosi ed irritanti per noi adulti: accorgersi che ci sono parole nuove che le nostre menti non avrebbero mai pensato, che ci sono azioni che mai ci saremmo immaginati di compiere e che tutta questa novità cammina sulle gambe di giovani vite che, senza chiedere il permesso, sconquassano l’ordine delle cose.