l’atrocità del perdono

Ogni perdono passa sempre attraverso l’atrocità della sua elaborazione. Lo definisce proprio così Lacan il “lavoro del perdono”: una esperienza segnata dall’atrocità, dalla crudeltà e dalla ferocia. Chiunque ci sia passato sa benissimo di cosa si parla e di quanto questa considerazione arrivi a cogliere qualcosa di essenziale e vero.

È atroce il perdono perché anzitutto richiede tempo. Come qualunque ferita inferta al nostro corpo, così il processo del perdono esige tempo, pazienza, fatica, costanza ed applicazione. Esso non è un fatto spontaneo o naturale, nulla di immediato o istintivo. Esso è un lavoro duro, spesso feroce, persino impossibile in alcuni casi. Nessun perdono può prescindere da questa dimensione temporale, dalla durata che esso comporta e, crudelmente, esige. Chiunque cerchi di accelerare in modo innaturale questa lenta guarigione, presto o tardi si accorgerà di come la ferita persista nel sanguinare e sia bel lontana dal guarire.

Il perdono richiede la forza di guardare il torto subito e di sostenerne la vista, senza lasciarsi sopraffare dal rancore, dalla rabbia o dalla fuga. Solo il tempo saprà, quando sarà concessa la grazia,  trasformare quell’offesa in qualcosa che siamo disposti ad accogliere e condonare.

Anche perché, e qui aveva ragione Deridda, ogni perdono vero è sempre il perdono dell’imperdonabile. Il lavoro del perdono si attiva sempre di fronte a ciò che sentiamo come talmente indigeribile da non poter essere accolto. C’è un abisso tra noi ed il torto subito che rende il perdono una esperienza apparentemente impossibile: ciò che ci sta di fronte si mostra così doloroso da risultare imperdonabile, inaccettabile ed inconcepibile.

È solo di fronte all’assurdità di questo iato che l’atroce lavoro del perdono può iniziare; è solo quando esso appare insensato ed impossibile che allora si può intraprendere quell’irto cammino che, a Dio piacendo e senza alcuna garanzia previa, ci condurrà in cima alle vetta. Si perdona solo l’imperdonabile: è vero! Si perdona, o quanto meno si cerca di farlo, solo quanto urtica il nostro buon senso, ferisce la nostra sensibilità, attenta ciò che consideriamo accettabile e giusto.

Forse è per questo che il perdono possiede, che ci si creda o no, un tratto “divino”: esso è sempre una sporgenza che eccede il limite del giusto, del conforme e della reciprocità.


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